24 Ottobre 2016

Il trattamento di fine mandato degli amministratori

di Federica Furlani
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Lo svolgimento dell’attività di amministratore di società comporta il naturale diritto, soggettivo, perfetto e disponibile, ad ottenere un compenso per l’opera prestata, a meno che sia prevista la gratuità della funzione o l’interessato vi rinunci in modo inequivocabile.

La materia degli emolumenti spettanti agli amministratori è regolata dagli articoli 2389 e 2364, comma 1, n. 3), cod. civ., i quali attribuiscono specifica competenza alla loro determinazione ai soci, che possono farlo in sede di atto costitutivo o, successivamente, mediante specifica Assemblea.

Diverse sono le possibili forme di determinazione del compenso, che possono anche essere combinate fra di loro:

  • compenso in misura fissa, con periodicità mensile, trimestrale o una tantum;
  • compenso in misura variabile, in proporzione agli utili conseguiti o ad altri parametri, espressamente indicati ed oggettivamente quantificabili, in modo da rendere l’amministratore partecipe al rischio di impresa;
  • attribuzione di stock option.

È inoltre sempre più diffusa la prassi aziendale che prevede a favore degli amministratori, oltre al normale emolumento periodico, un’indennità di fine mandato da corrispondere alla cessazione del rapporto con la società.

La sua corresponsione non è prevista e disciplinata da alcuna norma di legge, a differenza di quanto accade per il trattamento di fine rapporto (TFR) dei lavoratori dipendenti, regolato esplicitamente dall’articolo 2120 cod. civ..

Le parti sono pertanto libere di stabilirlo, con una previsione statutaria o in fase di delibera dell’assemblea dei soci, nel rispetto del vincolo della ragionevolezza e della congruità, ovvero della sua commisurazione alla realtà economica della società, ai suoi volumi di reddito, all’attività svolta dall’amministratore, eccetera.

Dal punto di vista fiscale, a differenza di quanto previsto ai sensi dell’articolo 95 del Tuir per i compensi degli amministratori, deducibili secondo il criterio di cassa, l’indennità di fine mandato va dedotta secondo il principio di competenza, nei limiti pertanto della quota maturata.

Nel regolare la deducibilità del TFM, l’articolo 105 del Tuir richiama l’articolo 17, comma 1, lettera c) del Tuir stesso, che concede il beneficio della tassazione separata del TFM in capo all’amministratore-percettore, a condizione che il diritto all’indennità risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto (ad esempio da estratto notarile della delibera assembleare dal quale risulta il diritto all’indennità, da vidimazione notarile del libro delle adunanze assembleari, da notifica rituale all’amministratore della delibera che gli attribuisce l’indennità).

Il requisito della data certa, previsto dal citato articolo, è condizione ulteriore anche per poter procedere alla deduzione dell’accantonamento in capo all’azienda per competenza, oltre che condizione per poter fruire in capo all’amministratore della tassazione separata?

Sul punto l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 211/E/2008 ha optato per la soluzione più rigida, precisando che gli accantonamenti per il TFM, ed in generale relativi ad ogni rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, non sono deducibili per competenza dal reddito d’impresa, a meno che il diritto all’indennità non risulti da atto precedente all’inizio del rapporto, così come richiesto dall’articolo 17, comma 1, lettera c) del Tuir.

Viene pertanto subordinata la deducibilità e, quindi, il principio di competenza stesso, alla medesima regola stabilita dall’articolo 17 per poter usufruire, da parte dei beneficiari delle indennità, della tassazione separata e cioè dell’esistenza di un “atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto”. In mancanza di questo requisito, le indennità corrisposte potranno essere portate in deduzione solamente nell’anno in cui sono state effettivamente erogate.

Di diverso avviso l’Associazione italiana dei dottori commercialisti che, con la norma di comportamento 180/2011, in linea con il parere della maggioranza della dottrina, sostiene che le società di capitali che abbiano correttamente deliberato l’indennità di fine mandato possono effettuare un corrispondente accantonamento deducibile per competenza, a prescindere dal momento in cui il diritto all’indennità sia sorto, senza sottostare ai limite ed alle condizioni previste dall’articolo 17 del Tuir.

Per quanto riguarda, invece, il trattamento fiscale in capo all’amministratore, il legislatore, come anticipato, prevede la possibilità di assoggettamento a tassazione separata (al fine di evitare la tassazione progressiva di un reddito maturato su vari anni) a condizione che la concessione dell’indennità risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto; in mancanza di data certa, l’indennità corrisposta all’amministratore sarà soggetta a tassazione ordinaria nell’esercizio di incasso della stessa.

Può succedere, al verificarsi di alcune situazioni aziendali, che anziché accantonare nuove quote di trattamento di fine mandato, l’amministratore decida di rinunciare all’accantonamento per fine mandato già imputato a bilancio, azzerando il relativo debito. Gli effetti fiscali di tale situazione sono diversi a seconda che l’amministratore, per il quale sia stato accantonato il TFM, sia o meno anche socio della società.

Nel caso di amministratore non socio, l’eventuale rinuncia comporta la rilevazione di una sopravvenienza attiva a storno della posizione debitoria della società e nessuna conseguenza fiscale in capo all’amministratore.

Nel caso di amministratore socio, la rinuncia dello stesso al credito da luogo ad una sopravvenienza attiva solo per l’eventuale parte che eccede il relativo valore fiscale (articolo 88, comma 4-bis, del Tuir); mentre in capo all’amministratore socio la recente Cassazione (ordinanza 1335 del 26.01.2016) ha stabilito che l’importo deve essere tassato per il c.d. principio dell’incasso giuridico.

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