Trattamento Iva dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale
di Alessandro BonuzziL’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale (c.d. “buonuscita”) costituisce una forma di compensazione per il conduttore che rilascia l’immobile alla fine della locazione, perdendo uno degli elementi essenziali che stanno alla base del valore della propria attività.
L’indennità è quantificata in funzione dell’ultimo canone corrisposto dal conduttore uscente. Più precisamente, per le locazioni di immobili commerciali, l’indennità è pari a 18 mensilità dell’ultimo canone (21 mensilità per gli alberghi).
Ai sensi della L. 392/1978, i presupposti per la corresponsione dell’indennità per la perdita dell’avviamento sono legati:
- alla natura dell’immobile locato, il quale deve essere adibito ad attività industriali, commerciali, artigianali o turistiche che comportino contatti diretti con utenti o consumatori;
- alle modalità di cessazione del rapporto tra proprietario e conduttore, atteso che l’indennità risulta, spettante qualora la disdetta sia esercitata dal locatore;
- all’effettivo rilascio dell’immobile.
Sul trattamento Iva dell’indennità di avviamento commerciale si è espressa l’Aidc con la norma di comportamento n. 190/2014.
A parere dell’Associazione, siccome la somma che il locatore deve corrispondere al conduttore al termine della locazione assume la natura di ristoro compensativo, essa è qualificabile come indennizzo dovuto “automaticamente” per la cessazione del vincolo giuridico.
In quanto priva di controprestazione, quindi carente del presupposto oggettivo, l’operazione non è rilevante ai fini Iva.
L’indennità può assumere invece rilevanza agli effetti dell’imposta allorquando derivi da una negoziazione fra le parti. In tal caso, infatti, si verifica il sinallagma poiché la somma rappresenta il corrispettivo di un’obbligazione assunta dalla controparte, ossia dal conduttore.
Secondo l’Aidc, in tali ipotesi, all’indennità va applicato lo stesso regime Iva (esenzione o imponibilità) che ha trovato applicazione per i canoni di locazione.
Siffatta interpretazione trae ispirazione dalla sentenza della Corte di Giustizia Lubbock Fine & C. causa 63/92 del 15 dicembre 1993, tesa a evitare l’emersione di distorsioni nell’applicazione dell’imposta.
Tantoché, se il locatore è un privato consumatore, essendo rimasta la locazione esclusa da Iva per mancanza del presupposto soggettivo, anche l’indennità deve seguire il medesimo trattamento non dovendo essere gravata dell’imposta.
Va chiarito che la norma di comportamento in esame si pone in aperto contrasto con la risoluzione AdE 73/E/2005, secondo cui, siccome:
- l’articolo 15 D.P.R. 633/1972 prevede l’esclusione da Iva solo nel caso di un risarcimento in senso proprio, dovuto a ritardi o inadempimento di obblighi contrattuali;
- non è comunque affatto da escludere che anche un risarcimento in senso proprio possa sottendere un’operazione di cessione di beni o prestazione di servizi;
- il fatto che l’indennità di avviamento commerciale affondi le sue radici in una ben precisa disposizione di legge che pone un obbligo a carico del locatore e non in un accordo di natura contrattuale, non esclude la possibilità di ricondurre l’evento sotto il raggio d’azione dell’Iva;
- la situazione che si verifica tra le parti, sia pure per disposizione di legge, appare riconducibile ad un vero e proprio rapporto sinallagmatico, in cui oggetto dello scambio è di fatto quell’incremento di valore che il conduttore, riconsegnando il bene, rimette nella disponibilità del proprietario;
“deve ritenersi che l’indennità …, qualora corrisposta in seguito alla naturale cessazione della locazione, costituisca il corrispettivo di un’obbligazione che …, ai fini dell’Iva, deve essere considerata alla stregua di una prestazione di servizi ex articolo 3 comma 1 del D.P.R. 633 del 1972, imponibile in presenza del requisito soggettivo”.
Diversamente, l’andamento della giurisprudenza è in linea con il pensiero dell’Aidc, ritenendo da sempre la “buonuscita” un’operazione non rilevante ai fini dell’Iva.
Si richiama al riguardo la sentenza della Corte di Cassazione n. 13345/2006, la sentenza della Corte di Cassazione n. 8559/2012 e la sentenza CTR Toscana 1889/25/16 del 28 febbraio 2016.
Alla luce della posizione assunta dai giudici nonché dalla dottrina, è auspicabile un ripensamento sulla questione da parte dell’Agenzia delle entrate, atteso che il suo indirizzo pare oramai “temerario”.