7 Maggio 2020

Tre errori da non fare per promuovere il tuo studio professionale sul web

di Salvatore Maniglio – di MPO & Partners e Consulente Digital & Marketing - Digital Studio Pro
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1° – Non investire nella produzione di contenuti

Sempre più professionisti decidono di investire nello sviluppo di un sito web nella speranza di acquisire maggiore visibilità e di conseguenza nuovi clienti. Sono sempre meno però i professionisti che decidono di investire, tempo e denaro, nella produzione editoriale.

“Content is king!” diceva Bill Gates già nel lontano 1996, ed è ancora così! Bill Gates aveva ragione: negli ultimi 20 anni siamo stati spettatori inconsapevoli di una rivoluzione che ha stravolto il mondo del marketing, portando i contenuti al centro di ogni strategia di marketing online.

Siamo passati dall’ Outbound Marketing, ovvero messaggi promozionali inviati dalle aziende ad un pubblico più o meno definito, al fine di promuovere determinati prodotti o servizi, (conosciuto anche come interrupting marketing), all’Inbound Marketing, termine che indica la capacità di un brand di avere visibilità agli occhi dei suoi potenziali clienti, ogni qual volta questi ricercano prodotti e servizi correlati.

Bene, elemento imprescindibile di ogni attività di Inbound Marketing sono proprio i contenuti.

Per avere visibilità in relazione a query di ricerca, correlate ai servizi offerti, il professionista ha davanti a sé due possibilità, ed in entrambi i casi i contenuti rappresentano un elemento imprescindibile per il raggiungimento di questo obiettivo.

Non si può avere visibilità organica (ovvero senza investire in pubblicità a pagamento sulla rete di ricerca o sui Social Media) in relazione ad un determinato servizio, se non si parla di questo servizio sul proprio sito, trattando l’argomento, e le tematiche ad esso correlate, in maniera approfondita.

Per avere visibilità organica, quindi essere tra i risultati di Google per una determinata ricerca, bisogna necessariamente investire nella produzione editoriale in quanto sono proprio i contenuti di testo, i contenuti web che si posizionano meglio nelle pagine di risultati dei motori di ricerca.

Se invece si decide di optare per una strada più breve ma più onerosa, ovvero la pubblicità a pagamento sulla rete di ricerca, non bisogna fare lo sbaglio di pensare che gli annunci della nostra campagna porteranno clienti al nostro studio.

Tali annunci ci aiuteranno ad acquisire nuovi visitatori, ma è il nostro sito (in particolare la pagina di atterraggio del nostro sito, in gergo landing page) che ha l’arduo compito di convertire questi visitatori in contatti (tramite una call-to-action come ad esempio ‘Compila il form per richiedere maggiori informazioni’) , e quale modo migliore per farlo se non approfondendo l’argomento di cui si parlava nel nostro annuncio, comunicando al tempo stesso la propria preparazione e professionalità?

Infine, particolare da non sottovalutare, ogni qual volta il nostro cervello trova una risposta alla nostre domande, produce dopamina, sostanza che infonde un senso di gratificazione e che ovviamente genera dipendenza, portandoci così a preferire un sito rispetto ad un altro, consentendo così al professionista di iniziare a costruire quell’indispensabile rapporto di fiducia che ci deve essere con la propria clientela.

2° – Non avere delle adeguate call-to-action sul proprio sito web

Con il termine call-to-action si intende quell’insieme di azioni che vogliamo gli utenti portino a compimento, come ad esempio la compilazione di un contact form per richiedere informazioni, l’iscrizione alla newsletter dello studio, l’iscrizione ad un webinar, l’invio di un’email, ecc.

Per monetizzare l’investimento fatto, in termini di tempo e risorse, per produrre contenuti di interesse per il proprio pubblico, è necessario avere su ogni pagina del proprio sito, una call-to-action in linea con l contenuto della pagina.

Per farlo è necessario avere un’idea di quali sono le proprie landing-page, ovvero la prima pagina che visualizzano i nostri utenti. Per farlo è necessario utilizzare quello che, senza ombra di dubbio, è lo strumento di analisi (per siti web) più diffuso: Google Analytics. Questa piattaforma è in grado di tracciare la provenienza ed il percorso degli utenti sul nostro sito,il che ci è di grande aiuto in quanto ci permette di capire quali sono le sorgenti di traffico e le prime pagine che visualizzano i nostri utenti.

Se hai un sito web ed una pagina Facebook, probabilmente avrai 2 sorgenti di traffico: traffico organico e social. La differenza è fondamentale: nel primo caso c’è un intento di ricerca, ovvero gli utenti hanno effettuato una ricerca correlata ai contenuti delle pagine del nostro sito, e di conseguenza possiamo presumere siano alla ricerca di informazioni riguardo i servizi professionali dello studio; nel secondo, possiamo presumere che i nostri visitatori abbiano visto uno dei nostri post ed abbiano deciso di leggere il contenuto della pagina condivisa. In questo secondo caso non c’è alcun intento di ricerca, di conseguenza possiamo ipotizzare che non siano particolarmente interessati a richiedere maggiori informazioni.

Nel primo caso quindi potremmo avere una call-to-action riguardante la richiesta di informazioni, nel secondo invece, dovremmo predisporre una call-to-action diversa, riguardante la produzione editoriale (ricordate? l’utente è arrivato sul nostro sito per leggere un articolo, è arrivato da una piattaforma social quindi non è in una fase di ricerca attiva) come ad esempio la sottoscrizione della nostra newsletter.

Attenzione, non parliamo di mostrare sulla stessa pagina una diversa call-to-action a seconda della provenienza dell’utente (cosa possibile ma attualmente molto onerosa), ma di produrre contenuti diversi, con diverse call-to-action, per i diversi usi che si intende fare di questi.

Quindi, ritornando all’esempio del professionista che ha un sito web ed una pagina facebook, sarebbe opportuno produrre dei contenuti medio-lunghi per la ricerca organica, contenuti quindi ‘ottimizzati’ per una determinata parola chiave correlata ad un servizio dello studio, con una call-to-action inerente alla richiesta di informazioni, e dei contenuti brevi, meno tecnici e più informativi, per la nostra pagina facebook, con una call-to-action diversa che potrebbe essere l’iscrizione alla newsletter, in quanto l’utente che è arrivato su questa pagina ha mostrato interesse per il nostro articolo e potrebbe essere interessato a leggere i prossimi.

Per sintetizzare è necessario produrre contenuti diversi a seconda dell’utilizzo che si intende farne, con call-to-action diverse in base a quelli che possiamo immaginare siano gli intenti degli utenti.  Quindi in un primo tempo immaginare, fare quelle che in gergo vengono definite delle educated-guess, per prendere poi delle decisioni data-driven, ovvero basarsi sui dati raccolti, non appena disponibili.

3° – Non utilizzare una Piattaforma CRM 

Una volta avviata una produzione editoriale ed implementato le proprie pagine con le adeguate call-to-action, diventa necessario dotarsi di una piattaforma CRM. L’acronimo sta per Customer Relationship Management, che tradotto vuol dire Gestione delle Relazioni con i Clienti.

Perché è necessario? Proprio per gestire al meglio le relazioni dello studio con i clienti e potenziali tali. Utilizzando un CRM è possibile avere una pagina dedicata per ogni contatto o cliente, con tutte le informazioni chiave in evidenza, le interazioni intercorse tra dipendenti o professionisti dello studio ed il cliente/contatto in modo da coinvolgere i propri collaboratori senza dover inoltrare le lunghe conversazioni avute via email (correndo il rischio di dimenticare qualcosa!).

Inoltre, sarà semplicissimo ricercare un contatto/cliente e clusterizzarli per fatturato, tipologia di attività, numero di dipendenti, così da inviare comunicazioni mirate. Adottare una piattaforma CRM significa rendere fruibili, a tutti i collaboratori dello studio, tutte le informazioni a disposizione sulla propria clientela, così da consentire a tutti di gestire al meglio qualsiasi richiesta, ed evitare che due richieste, provenienti dallo stesso contatto, (che si rivolge allo studio utilizzando 2 metodi di comunicazione diversi, es. email e telefono) vengano gestite in contemporanea da due diversi collaboratori/dipendenti.