Tremonti quater e micro investimenti
di Giovanni ValcarenghiNon sono certo tempi in cui le aziende effettuano rilevanti investimenti, a causa della limitata disponibilità di liquidità e delle incertezze che connotano il mercato. Tuttavia, per chi avesse già programmato l’acquisizione di impianti e macchinari, è bene tenere in considerazione i benefici che sono concessi dall’articolo 18 del DL 91/2014 (c.d. Tremonti quater).
La disposizione assegna ai titolari di reddito d’impresa, che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi compresi nella divisione 28 della tabella ATECO (purché destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato) fino al 30 giugno 2015, un credito d’imposta nella misura del 15 per cento delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media degli investimenti in beni strumentali compresi nella suddetta tabella realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti, con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l’investimento è stato maggiore.
La disposizione che ci interessa è quella contenuta nel comma 3 dell’articolo, ove si ha modo di affermare che il credito d’imposta non spetta per gli investimenti di importo unitario inferiore a 10.000 euro.
Il possibile dubbio che sta sorgendo tra gli operatori attiene al significato del termine investimento, nelle ipotesi in cui il contribuente acquisti congiuntamente (magari dal medesimo fornitore) più beni, ciascuno di costo inferiore a 10.000 euro, ma complessivamente di valore superiore alla soglia.
Rispetto alle precedenti agevolazioni si tratta di un aspetto del tutto nuovo, in relazione al quale, dunque, mancano possibili conforti di prassi; peraltro, comprendere cosa si debba intendere per importo unitario dell’investimento non inferiore a 10.000 euro rileva:
- tanto per comprendere quale sia l’ammontare delle nuove acquisizioni;
- quanto per il calcolo della eventuale media degli anni precedenti.
Dai lavori parlamentari si ha solo modo di apprendere che la disposizione pone un limite alla dimensione degli investimenti ammessi a beneficio, pertanto non si ha modo di acquisire spunti ulteriori rispetto al puro argomento letterale.
Si ipotizzi, allora, che vi siano due contribuenti che vantano una “media storica” pari a zero (per pura comodità) e che si trovino nella seguente situazione:
- il primo acquista un unico bene agevolabile, di un modello di fascia superiore che costa 12.000 euro, guadagnando il diritto alla agevolazione;
- il secondo, per esigenze produttive leggermente divergenti dal primo, acquista 3 beni di fascia inferiore, che costano ciascuno 9.800 euro, con un investimento complessivo di 29.400 euro, quindi notevolmente maggiore di quello effettuato dall’altro.
In questo secondo caso, ci domandiamo, l’agevolazione spetta oppure no? In sostanza, si tratta di capire se per investimento di debba intendere il costo complessivamente sopportato dal contribuente, oppure il costo del singolo autonomo componente.
Se la soluzione fosse la seconda, non vi sarebbero particolari ambasce nell’escludere il credito di imposta. Certo, parrebbe strano, a livello sistematico, che il soggetto che più spende meno guadagna in termini di bonus, con possibili anomalie di funzionamento del sistema. Per assurdo, si spingerebbe l’acquirente a non trattare sul prezzo, a non chiedere alcuno sconto: ove pagasse il singolo bene 10.100 euro, grazie al credito di imposta avrebbe un costo effettivo di 9.595, inferiore a quello di 9.800 euro ottenibile, ad esempio, con la “trattativa” accanita.
Se, diversamente, la soluzione fosse la prima, si potrebbero aprire ulteriori variabili:
- rileva il momento in cui è stato fatto l’investimento? Cioè, la conclusione cambia a seconda che il soggetto acquisti in blocco i singoli beni, oppure li acquisti in momenti differenti nel corso del periodo agevolato?
- rileva il fatto che l’investimento sia certificato con unica fattura o con differenti documenti fiscali?
- rileva il fatto che il fornitore sia il medesimo?
Insomma, si avrà avuto modo di apprezzare il fatto che l’introduzione del limite minimo di rilevanza può determinare degli aspetti anomali per i soggetti che, per le loro esigenze produttive, effettuano esborsi magari anche rilevanti sotto l’aspetto quantitativo complessivo, ma frazionati a livello di valore del singolo bene.
Purtroppo non appare semplice dirottare la scelta verso l’una o l’altra soluzione e, per conseguenza, non ci resta che segnalare l’anomalia e sperare che l’amministrazione possa fornire una chiave di lettura ragionevole del fenomeno, valorizzando la ratio della norma che dovrebbe essere quella di agevolare l’implementazione della struttura produttiva delle aziende e di supportare il settore dei produttori di beni della categoria Ateco 28 (anche di quelli che producono beni di valore magari di poco inferiore alla soglia minima, ma che si prestano ad un utilizzo in massa).