Triangolazione con beni inviati all’estero in base a un leasing
di Marco PeiroloIn merito alla classificazione, ai fini IVA, del leasing finanziario nella categoria delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi è intervenuta la Corte di giustizia nella sentenza di cui alla causa C-164/16 del 5 ottobre 2017 (Mercedes-Benz Financial Services UK).
La qualifica dell’operazione nell’ambito dell’una piuttosto che dell’altra categoria si riflette sul piano temporale. Se il leasing finanziario dà luogo ad una prestazione di servizi, l’IVA è dovuta all’atto del pagamento di ciascun canone, mentre la diversa classificazione dell’operazione come cessione di beni implica che l’imposta si rende dovuta al momento della consegna del bene oggetto del contratto, per l’intero importo (canoni più prezzo di riscatto).
Il principio espresso dai giudici dell’Unione è che il leasing finanziario dà luogo ad una cessione di bene, anziché ad una prestazione di servizio, qualora si possa dedurre dalle condizioni del contratto che l’esercizio dell’opzione di acquisto risulta l’unica scelta economicamente razionale che il locatario potrà fare, giunto il momento, se il contratto è stato eseguito fino al suo termine.
Tale qualifica, al di là dei riflessi sul piano temporale di cui si è detto, incide anche sul regime impositivo applicabile all’operazione, per esempio quando il contratto sia stipulato dal concedente con l’utilizzatore di altro Stato, UE o extra-UE.
In tal caso, infatti, l’operazione integra una cessione intraunionale o all’esportazione, non imponibile IVA, rispettivamente, ai sensi dell’articolo 41 del D.L. 331/1993 e dell’articolo 8 del D.P.R. 633/1972.
Considerando il leasing finanziario come cessione deve intendersi automaticamente superata la conclusione raggiunta dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 22172 del 27 settembre 2013, riguardante l’ipotesi in cui i beni acquistati dal cessionario nazionale siano inviati in territorio estero dal proprio fornitore, anch’esso nazionale, in esecuzione di un contratto di leasing.
Secondo i giudici di legittimità, nello schema di triangolazione in esame, la cessione interna è imponibile, in quanto i beni concessi in locazione sono rimasti di proprietà del concedente, escludendo così che il loro trasferimento agli utilizzatori non residenti integri un’operazione avente ad oggetto la cessione di un bene, come definita dall’articolo 14 della Direttiva n. 2006/112/CE, corrispondente all’articolo 2 del D.P.R. 633/1972.
Questa conclusione può considerarsi corretta, ove non si consideri l’ultimo arresto della Corte di giustizia, se il bene oggetto di leasing è destinato ad essere utilizzato in altro Stato UE, in quanto il sistema impositivo degli scambi intraunionali di beni subordina il beneficio della non imponibilità nel Paese di partenza alla condizione che il bene sia assoggettato ad imposta nel Paese di arrivo. Pertanto, se l’operazione è riconducibile alle prestazioni di servizi, viene automaticamente meno la possibilità – per la cessione interna – di beneficiare del regime di non imponibilità di cui all’articolo 58 del D.L. 331/1993.
A favore di questo esito è possibile richiamare la C.M. 13-VII-15-464 del 1994 (§ B.16.1), secondo cui, nell’ipotesi in cui il cessionario nazionale sia un “privato consumatore”, non si rende applicabile la non imponibilità, atteso che quest’ultimo, non essendo identificato ai fini IVA, non può realizzare una cessione intraunionale nel rapporto con la sua controparte non residente.
Una diversa soluzione dovrebbe, invece, valere nel caso in cui la cessione interna abbia per oggetto i beni che il primo cedente invia, a cura o a nome del cessionario italiano, all’utilizzatore extra-UE in dipendenza del contratto di leasing finanziario stipulato, in veste di concedente, dal cessionario nazionale.
In difformità dall’orientamento della Suprema Corte, la cessione interna dovrebbe mantenere la non imponibilità in considerazione della finalità della detassazione, come esplicitata dalla C.M. 12/370205 del 1981.
L’esportazione materiale dei beni al di fuori della UE avviene già con la prima cessione, dato che il cessionario nazionale incarica il proprio fornitore di inviare i beni all’estero. Dal momento, infatti, che i beni, sotto il profilo doganale, sono esportati in esecuzione della prima cessione, sembrerebbe logico che alla non imponibilità di tale operazione debba attribuirsi una portata oggettiva, applicandosi anche quando l’operazione compiuta dal cessionario italiano non sia una cessione all’esportazione ai sensi dell’articolo 8 del D.P.R. 633/1972.
Al riguardo, è significativa la R.M. 357136 del 1986, che ha riconosciuto la detassazione nei confronti del primo cedente anche se la controparte italiana non agisce nell’esercizio d’impresa.
In assenza del presupposto soggettivo d’imposta è evidente che, agli effetti dell’IVA, non possa realizzarsi alcuna cessione (non solo all’esportazione) nel rapporto, “a valle”, tra il cessionario intermedio ed il suo cliente extracomunitario. Tuttavia, secondo l’Amministrazione finanziaria, “non assume rilevanza, stante la dizione della legge, la circostanza che il cessionario nazionale non abbia, nella specie, la veste di soggetto d’imposta dal momento che lo stesso non ha nello Stato alcuna disponibilità dei beni in questione e che, per contro, si ha la certezza del loro consumo all’estero”.
L’imponibilità della cessione interna si verifica, pertanto, nella sola ipotesi in cui il primo cedente, anziché in territorio extra-UE, consegni in Italia i beni ceduti, “verificandosi, in tal caso, un atto interruttivo della diretta procedura di esportazione, atto che fa sorgere la presunzione di immissione in consumo nel territorio dello Stato”.