Troppo strumentali per essere presi
di Massimiliano Tasini
Il Decreto del Fare ha significativamente inciso l’art. 62 del DPR 602/1973.
Nella sua precedente formulazione, la norma disponeva:
- al comma 1 che i beni mobili di cui all’art. 514 comma 1 n. 4) Cpc (gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l’esercizio della professione, dell’arte o del mestiere del debitore) possono essere pignorati nei casi in cui sono soggetti al privilegio di cui all’art. 2759 Cod. Civ.;
- al comma 2 che i frutti dei fondi del debitore soggetti al privilegio di cui all’art. 2771 Cod. Civ. (relativo ai crediti per le imposte sui redditi immobiliari) possono essere pignorati nelle forme della espropriazione presso il debitore ancorché i fondi stessi siano affittati
Nessuna modifica è stata apportata al comma 2, mentre il comma 1 è stato totalmente riformulato; il legislatore ha inoltre aggiunto il comma 1 bis.
Le modifiche al comma 1 sono volte sia a rimodulare la norma (poco chiara oltreché superata, in quanto faceva riferimento ad un punto sotteso dell’art. 514 Cpc) e sia anche eccessivamente rigida, avuto riguardo all’estrema difficoltà di liquidità vissuta da tante imprese.
La nuova disposizione introduce significative limitazioni al pignoramento dei beni strumentali, estendendo le regole sul punto dettate dal Cpc relativamente alle imprese individuali anche alle società ed anche all’ipotesi di prevalenza del fattore capitale su quello lavoro. Come precisato da Equitalia nella circolare 1 luglio 2013, il legislatore ha così allargato le ipotesi di pignoramento relative ai predetti soggetti (ed agli stessi oggetti: strumenti, oggetti, libri): il pignoramento potrà avvenire nei limiti del quinto del valore complessivo e sempreché gli altri beni siano insufficienti a soddisfare il credito azionario.
La circolare fa peraltro ulteriori e significativi passi in avanti e, richiamando alcune sentenze, stigmatizza i seguenti punti.
- la pignorabilità dei beni strumentali è sempre residuale…
- …non deve pregiudicare il regolare funzionamento dell’attività lavorative.
Quindi, il debitore deve essere messo in condizione di svolgere la propria attività lavorativa.
D’altra parte, l’unico modo possibile per immaginare che il debitore ritorni in condizioni di pagare quanto dovuto ad Equitalia è quello di consentirgli di proseguire la sua attività, ciò che potrebbe “rimetterlo in carreggiata”.
E’ interessante notare che questa tesi, pur con gli adattamenti del caso, era già stata sostenuta giurisprudenzialmente.
Così, per C.T.R. Milano, sentenza 12/3/2012 n. 85 resa dalla sez. 12, per disporre il fermo amministrativo di un autocarro ai sensi dell’art. 86 DPR 602/1973, il concessionario non può prescindere dalla natura del bene, che potrebbe essere strumentale per l’esercizio della attività d’impresa, nel qual caso scatta la previsione dell’art. 515 Cpc “…che implica che il concessionario, prima di addivenire al fermo di un veicolo, deve verificare che lo stesso non sia strumento di lavoro e specificatamente motivare l’assenza di altri beni onde ipotizzare un fermo”.
Riguardo alla natura “strumentale” del bene la Corte meneghina afferma la non necessità di fornire una specifica documentazione, visto che nel caso si controverte di autocarri utilizzati da una impresa edile.
Riguardo al provvedimento di fermo ex art. 86 del D.P.R. 602/1973, vale la pena di evidenziare che il D.L. 69/2013, recependo sostanzialmente la prassi di Equitalia, ha previsto che la procedura di fermo deve avere inizio con la notifica di una comunicazione preventiva al debitore, contenente l’invito a pagare le somme dovute entro 30 giorni (e non più 20 come da precedente prassi).
Il fermo perde efficacia non solo in caso di pagamento delle somme dovute, ma anche in caso di sentenze tributarie – ancorché non definitive – favorevoli al contribuente, previa autocertificazione resa dallo stesso (Direttiva 6/5/2010 n. 10).
Le conseguenze della mancata notifica del preavviso non sono ancora una volta previsti dalla norma. Vedremo.