Il trust fra luoghi comuni e falsi miti – V° parte
di Sergio PellegrinoIn considerazione del fatto che, anche a livello di media, quando si parla di trust si parla solamente di quelli istituiti da famiglie “importanti”, perché evidentemente sono quelli che fanno “notizia”, il rischio è che il trust venga percepito come uno strumento “adatto” soltanto a chi possiede ingenti patrimoni.
Un’obiezione ricorrente da parte dei clienti dotati di un patrimonio “normale” è, quindi, quella relativa alla circostanza che il trust potrebbe essere “sovradimensionato” rispetto alle loro esigenze (considerato il “piccolo” patrimonio) e possibilità (dal punto di vista dei costi).
La prima osservazione che dobbiamo fare al riguardo è che se il patrimonio è un patrimonio “normale” o addirittura “modesto”, l’utilità di istituire il trust non per questo si ridimensiona, ma anzi si amplifica a dismisura: più piccolo è il patrimonio, maggiore sarà infatti la necessità di preservarlo da possibili aggressioni, beneficiando della protezione che il trust, se strutturato in modo adeguato e con tempistiche corrette, è in grado di garantire.
Alla fatidica domanda posta dal cliente “quanto mi costa il trust”, non può essere data una risposta “di getto”, ma questa deve essere ponderata sulla base della complessità della fattispecie e del patrimonio che dovrà essere segregato.
Per quanto riguarda i costi di istituzione, vi sarà evidentemente il costo per la consulenza di chi andrà materialmente a redigere il testo dell’atto istitutivo.
Si tratta di un lavoro che, come evidenzio sempre ai clienti, richiede tempo perché va fatto a quattro mani, consulente e cliente assieme, attraverso una serie di incontri nei quali quest’ultimo, attraverso il nostro aiuto, deve comprendere ciò che vuole (e può) fare attraverso l’istituzione del trust: è un atto di importanza capitale perché regolamenterà la vita del trust nei decenni futuri, anche in contesti personali e familiari che possono essere mutati radicalmente rispetto a quelli esistenti al momento dell’istituzione. Ed è difficile “raddrizzare” un trust nato “male”, con un atto istitutivo tecnicamente sbagliato o che non rispetta i desiderata del disponente.
Vi sarà poi il costo dell’atto notarile, se vi è la volontà di istituire il trust mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata: in realtà non sarebbe necessario, atteso che la Convenzione prescrive soltanto la forma scritta e non richiede particolari formalità, ma è, in linea generale, raccomandabile, anche alla luce del fatto che, se l’atto è già predisposto dal consulente, il compenso dello studio notarile è normalmente contenuto.
Il costo dell’atto di dotazione, poi, se vengono disposti in trust immobili o partecipazioni ed è quindi necessario l’intervento del notaio, sarà equivalente a quello applicabile in relazione a qualsiasi contratto traslativo.
Per quanto concerne invece la successiva gestione, non esistendo evidentemente un “tariffario”, il costo varierà a seconda della trust company a cui è stato affidato l’incarico e delle politiche che questa applica.
Alcune società determinano il compenso richiesto applicando una percentuale sul valore del patrimonio, con un minimo garantito, mentre a me sembra più corretta la scelta di quantificarlo piuttosto sulla base della “complessità” della gestione: per fare un esempio banale, “gestire” la nuda proprietà di un immobile di enorme valore è meno “impegnativo” rispetto a farlo per la piena proprietà di un monolocale da affittare.
Sul versante dei costi, va quindi rimarcato al cliente che uno degli elementi caratterizzanti il trust è la sua estrema duttilità e la conseguente possibilità di plasmare l’istituto sulla base delle sue necessità specifiche e di quella che è la sua consistenza patrimoniale: i costi per l’istituzione del trust e per la sua successiva gestione saranno dunque chiaramente proporzionati alla quantità e qualità del patrimonio segregato, rappresentando una soluzione comunque accessibile in termini di costo-opportunità.
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