Il trust di scopo sconta l’imposta di donazione all’8%
di Sergio PellegrinoCon due sentenze depositate in cancelleria lo scorso 13 giugno, la Sezione Tributaria della Cassazione ritorna sul tema della tassazione indiretta del trust, recentemente oggetto di due altri arresti giurisprudenziali non così “convincenti” (sentenza n. 13141/2018, depositata il 25 maggio e n. 13626/2018, depositata il 30 maggio).
Nel contributo di oggi analizziamo la sentenza n. 15468/2018 (mentre domani analizzeremo la successiva sentenza n. 15469/2018).
La fattispecie al vaglio della pronuncia in esame concerne una società che aveva disposto in un trust di scopo beni immobili.
L’Agenzia aveva emanato un avviso di liquidazione, ritenendo applicabile l’imposta sulle successioni e donazioni con l’aliquota dell’8%.
Sia la Commissione Tributaria Provinciale di Caserta che la Commissione Tributaria Regionale della Campania avevano dato ragione alla società, sulla base dell’assunto che con la costituzione di un trust di scopo non vi è alcun incremento patrimoniale connesso al trasferimento di ricchezza e “non determina normalmente la prospettiva certa, sul piano giuridico, di un futuro arricchimento patrimoniale”: alla luce di queste considerazioni, quindi, tassare l’atto dispositivo in misura proporzionale “significherebbe allora una sostanziale violazione del principio di capacità contributiva, perché il momento giuridico della costituzione del vincolo non coincide con nessuna manifestazione di ricchezza, attuale o futura”.
Nel ricorso proposto per cassare la sentenza della CTR, l’Agenzia sostiene invece come la costituzione del vincolo di destinazione derivante dalla disposizione dei beni in trust debba essere in ogni caso assoggettata all’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale, essendo irrilevante la circostanza che il beneficio economico non sia attuale: in presenza di un trust di scopo, privo quindi di beneficiari finali, l’imposta deve essere applicata con l’aliquota dell’8% prevista per i “vincoli di destinazione di altri soggetti”.
I giudici della Suprema Corte richiamano innanzitutto le conclusioni della sentenza n. 21614/2016, considerata, evidentemente, il riferimento a livello giurisprudenziale.
La pronuncia in questione ha affermato che “il presupposto dell’imposta rimane quello stabilito dall’articolo 1 D.Lgs. 346/1990 e cioè il trasferimento di beni o diritti per successione a causa di morte o per donazioni o altra liberalità tra vivi”: l’imposta sulle successioni e donazioni non è applicabile in misura proporzionale fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari perché “manca il presupposto impositivo della liberalità”.
Nel prosieguo, però, i giudici affermano che “naturalmente a tale conclusione può farsi eccezione, ove si provi che il disponente ha trasferito al trustee i beni e i relativi diritti pervenendo al reale arricchimento del beneficiario” e che “occorre allora rinviare alla commissione tributaria regionale della Campania perché esamini, in via di merito, se tale trasferimento si è attuato”.
Qui il ragionamento appare confuso.
In primis, quando si parla di reale arricchimento del beneficiario, a chi si riferisce il collegio giudicante? Se il trust è un trust di scopo, come la stessa Agenzia ha riconosciuto, in capo a chi si manifesterebbe il beneficio economico che si pretende di tassare?
Altro aspetto critico è quello del trustee terzo rispetto al disponente (come peraltro è giusto e normale che sia), fattispecie che differenzia il caso in esame rispetto a quello del trust della sentenza n. 21614/2016, nel quale era lo stesso disponente a “fare” anche il trustee.
Sembrerebbe quasi che, a differenza di quanto avviene nel trust autodichiarato, il fatto che vi sia un trasferimento dei beni al trustee sia il fattore decisivo per determinare la tassazione proporzionale dell’atto dispositivo, quando invece non può essere questo sicuramente un discrimine razionale.
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