Tu chiamalo (se vuoi) rimborso spese!
di Fabio Pauselli
L’Istituto di ricerca del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, con la Circolare n. 37 del 9 gennaio 2014, ha affrontato l’annosa questione dei rimborsi spese nella determinazione del reddito di lavoro autonomo.
Come noto, l’Amministrazione finanziaria ha da sempre interpretato in maniera estensiva il concetto di “compenso”, riconducendovi anche quelle somme corrisposte a titolo di rimborso spese ed escludendo, di fatto, soltanto quei rimborsi relativi a spese anticipate in nome e per conto del cliente (ad esempio imposte e tasse, diritti e bolli, ecc…).
Questo modo “omnicomprensivo” di interpretare la norma da parte dell’Agenzia delle Entrate, trova un limite nel disposto di cui all’art. 54, comma 5, del T.U.I.R., secondo cui le spese relative a prestazioni alberghiere e somministrazione di alimenti e bevande in pubblici esercizi “sono integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate nella fattura”.
Leggendo queste poche righe non si può far altro che rilevare come il Legislatore che ha emanato questa norma fosse davvero poco avvezzo alla semplificazione tributaria; infatti la disposizione in esame, sancendo espressamente che tali spese “prepagate” dal committente non soggiacciono al limite di deducibilità previsto per le spese di vitto e alloggio (75% nel limite del 2% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta), ha imposto di adottare una procedura alquanto farraginosa:
- Il servizio “prepagato” deve essere fatturato al committente con gli estremi del professionista che ne ha usufruito;
- il committente comunica al professionista l’ammontare della spesa, inviandogli copia della fattura;
- il professionista emette fattura nei confronti del committente, includendo nel compenso le spese di vitto e alloggio “prepagate” dal committente;
- il committente imputa a costo la prestazione del professionista, potendo dedurre in toto anche le spese di vitto e alloggio “prepagate”.
Oltre ad assimilare i rimborsi spese “prepagati” ai compensi in natura, così facendo si è creata una procedura amministrativa onerosa e sproporzionata rispetto agli ipotetici intenti elusivi nell’applicare la norma.
Alla luce di queste considerazioni, in Senato il 23 luglio 2013 è stato presentato un disegno di legge volto ad abrogare le disposizioni in esame, nel quale viene previsto che le prestazioni acquistate e “prepagate” direttamente dal committente non costituiscono per il professionista compensi in natura.
Questa proposta modificativa, nonostante ripristini l’irrilevanza delle spese “prepagate” dal committente nella determinazione del redditi di lavoro autonomo del professionista, risulta ancora poco soddisfacente; infatti il trattamento fiscale degli altri rimborsi spese analitici continuerebbe a ledere il principio costituzionale di capacità contributiva, qualora le spese oggetto di rimborso risultino soltanto parzialmente deducibili (come quelle di vitto e alloggio) e non “prepagate” dal committente.
In tal senso è auspicabile che venga introdotta una disposizione di carattere generale per i rimborsi di quelle spese che il professionista è solito sostenere in merito all’espletamento dell’incarico, al fine di evitare una ingiustificata disparità di trattamento per fattispecie sostanzialmente simili.