Tunisia al nodo ritenute
di Ennio VialVita Pozzi
Molti paesi stranieri, soprattutto quelli in via di sviluppo, sono soliti applicare forme di tassazione in uscita sui compensi erogati a soggetti non residenti. Non è sempre chiaro agli operatori se queste tassazioni sono dovute, che ruolo giochi l’eventuale convenzione contro le doppie imposizioni ed eventualmente se sia scomputabile un credito di imposta in Italia.
Il punto di partenza è sicuramente costituito dalla normativa locale estera: il primo step, infatti, è quello di valutare se il prelievo sia dovuto in base alla legislazione locale. Generalmente, se il soggetto estero applica una ritenuta in uscita, lo fa in applicazione di una normativa interna; tuttavia, un controllo non è mai fuori luogo.
Il secondo passaggio consiste nell’esaminare con attenzione le convenzioni contro le doppie imposizioni di riferimento.
Nel caso della Tunisia, che è quello che vogliamo proporre in questa sede, l’art. 7 paragrafo 1 del Trattato stabilisce che in assenza di una stabile organizzazione nel suo territorio, la Tunisia non può tassare l’impresa italiana. Il successivo paragrafo 7, tuttavia, in linea con il modello OCSE, stabilisce che “quando gli utili comprendono elementi di reddito considerati separatamente in altri articoli della presente Convenzione, le disposizioni di tali articoli non vengono modificate da quelle del presente articolo”.
In sostanza, bisogna passare in rassegna la Convenzione per cogliere se per caso qualche disposizione particolare preveda una qualsivoglia forma impositiva su redditi imprenditoriali o professionali.
Il caso classico potrebbe essere quello dell’immobile locato. Una società italiana ha un immobile locato in Tunisia; in tale ipotesi non si configura la stabile organizzazione. Da una prima analisi si potrebbe quindi dedurre che l’impresa italiana non è soggetta ad imposizione all’estero.
Tuttavia, l’art. 6 della Convenzione relativo agli immobili ne prevede la tassazione in quanto è una norma derogatoria alla regola generale contenuta nell’art. 7 par. 1.
Generalmente, i redditi prodotti da un’impresa priva di stabile organizzazione sono assoggettati a tassazione solo se si tratta di immobili, dividendi, interessi e canoni.
Si deve tuttavia valutare – con particolare attenzione – se il protocollo della convenzione contenga delle deroghe al testo o delle definizioni particolarmente ampie al punto da permettere una estensione della tassazione alla fonte.
Questo è proprio il caso della Tunisia.
Infatti, se da un lato la definizione contenuta nell’art. 12 par. 3 risulta tutto sommato in linea con quanto siamo soliti riscontrare nelle convenzioni stipulate dall’Italia, il protocollo precisa al punto c) che il termine “canoni” considerato al paragrafo 3 dell’art. 12 comprende gli studi tecnici ed economici a carattere industriale o commerciale.
Ricordiamo, invece, che nel testo del par. 3, il termine “canoni” designa i compensi di qualsiasi natura corrisposti per l’uso o la concessione in uso di un diritto d’autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche, ivi comprese le pellicole cinematografiche e le registrazioni per trasmissioni radiofoniche e televisive, di brevetti, marchi di fabbrica o di commercio, disegni o modelli, progetti, formule o processi segreti, nonché per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche e per informazioni concernenti esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico.
In sostanza, in ipotesi di prestazioni qualificabili come “studi tecnici ed economici a carattere industriale o commerciale” da parte di soggetti italiani, il cliente tunisino può effettuare una ritenuta alla fonte sulla prestazione erogata.
L’Italia dovrà concedere il credito di imposta ma, ai sensi della R.M. n. 104/E/2001, tale credito non potrà eccedere quanto previsto dagli accordi convenzionali.
L’intervento di prassi afferma, infatti, che in presenza di Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia, qualora il prelievo sia stato effettuato nell’altro Stato contraente in misura eccedente l’aliquota prevista dal Trattato, la maggiore imposta subita – ossia la differenza tra il prelievo effettivamente subito e l’aliquota convenzionale – non può essere recuperata attraverso il credito d’imposta, bensì mediante un’istanza di rimborso da presentare alle Autorità fiscali estere con le modalità e nei termini stabiliti dalla relativa legislazione.
Ai fini del recupero delle imposte pagate all’estero in via definitiva può essere validamente utilizzata la certificazione rilasciata dall’intermediario ovvero altra documentazione rilasciata dall’Autorità fiscale estera dalla quale tali imposte risultino pagate in via definitiva.