Tutto tace sul visto di conformità
di Giovanni Valcarenghi
Ci siamo già occupati, in precedenti interventi, della questione del visto di conformità che, per la prima volta dal 2014, vincola l’utilizzo in compensazione di crediti da imposte dirette per importi superiori a 15.000 euro. I mesi sono passati, le dichiarazioni ormai quasi ultimate, e resta un silenzio assordante delle Entrate sulla specifica questione.
A nostro parere vi sono due problematiche che richiedono una soluzione urgente:
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quali siano i controlli che debbono essere effettuati per apporre “serenamente” il visto di conformità;
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quale sia la dichiarazione (o le dichiarazioni)
da vistare nel caso di eccedenze di ritenute retrocesse dal singolo soggetto all’ente partecipate, in ossequio alle indicazioni fornite dall’Agenzia con la nota
circolare 56/E del 23.12.2009.
Anticipiamo subito, per correttezza, che purtroppo non abbiamo una soluzione “tranciante”, ma cerchiamo di esporre i ragionamenti che abbiamo svolto e condiviso.
Sul primo interrogativo, l’unica norma di riferimento appare l’articolo 2 del DM 164/1999, ove si ha modo di evincere che il certificatore deve attestare:
- la mera corrispondenza dei dati esposti in dichiarazione con le risultanze della documentazione;
- la correttezza formale della dichiarazione;
- la regolarità delle scritture contabili.
Sono tre input che potrebbero aprire scenari più o meno ampi, a seconda di come li si interpretano. La corrispondenza “biunivoca” impone che vi sia perfetta corrispondenza tra i due parametri (documentazione e dichiarazione), la correttezza formale si evince sia dalla completezza che dal passaggio dei controlli Entratel, mentre la regolarità delle scritture contabili presuppone la loro effettiva esistenza e la tenuta in ottemperanza alle norme di legge. Ma l’interesse preminente del professionista che vista è conoscere se vi siano dei controlli “a campione” che possano attestare i suddetti compiti, se vi sia una sorta di fascicolo o check list da compilare e tenere agli atti. Di tutto ciò nella norma non vi è traccia e si deve provvedere a livello di prassi amministrativa o di best practices da parte del Consiglio Nazionale; dell’uno e dell’altro intervento ad oggi non vi è traccia.
Sulla seconda questione vi è un fermento dottrinario di non poco conto che, come era logico pensare, cresce nelle ultime settimane; non fosse altro per il fatto che ne possono essere direttamente interessati i professionisti e che, a seconda degli approdi cui si giunge, vi può essere un ostacolo all’apposizione del visto di conformità sulla propria dichiarazione (infatti, in tal caso difetterebbe il requisito della copertura assicurativa, in quanto la polizza non risponderebbe di eventuali errori sul proprio modello).
Vediamo allora di riepilogare il ragionamento, ipotizzando l’esistenza di uno studio associato con eccedenza di IRPEF maturata nelle dichiarazioni dei soci partecipanti e retrocessa all’ente in virtù degli accordi sottoscritti. Dove si appone il visto? Sulla dichiarazione dello studio associato, su quella dei soci, oppure su entrambi i modelli?
A favore della tesi che ritiene corretta l’apposizione del visto sulla sola dichiarazione dell’ente, depone il ragionamento pratico che, da sempre, il visto stesso deve accompagnare la dichiarazione del soggetto che utilizza in compensazione il credito. Così, poiché il modello F24 di compensazione sarà presentato dall’ente collettivo, il visto su detta dichiarazione potrebbe essere bastevole. Peraltro, si potrebbe anche rendere effettivo il controllo relativo alle scritture contabili, posto che lo studio associato del nostro esempio è un soggetto obbligato alla loro tenuta.
Va però rammentato che le disposizioni sul visto impongono che il controllo sia effettuato sulla dichiarazione dalla quale emerge il credito; pertanto, sotto questo aspetto, vi è da domandarsi se il credito utilizzato in compensazione si “generi” nel modello dell’ente o in quello del singolo. Su tale aspetto, valorizzato da coloro che ritengono rilevante la dichiarazione del partecipante, emerge un dubbio che non riusciamo a superare con certezza; il credito, in realtà, si forma nelle dichiarazioni dei singoli e poi, secondo le procedure ormai collaudate, si trasferisce nella dichiarazione dell’ente. Insomma, siamo dinnanzi alla possibile rilevanza di due crediti: uno “verace” nella dichiarazione del singolo che, tuttavia, non verrà da questi tecnicamente utilizzato in compensazione, l’altro “riflesso”, nel senso che acquisisce dignità operativa nel momento in cui viene esposto nella dichiarazione dell’ente, tra l’altro sotto forma di eventuale sommatoria dei crediti retrocessi dagli eventuali più soci che hanno aderito alla procedura.
In conclusione, il caso rimane controverso, anche se appare auspicabile che l’Agenzia delle entrate assuma una posizione che sia il più snella possibile, confermando la necessità del visto su una sola dichiarazione, magari quella dell’ente, al fine di evitare inutili duplicazioni dei controlli. Peraltro, ove dovesse essere seguita tale via, vi sarebbe anche piena correlazione con il contenuto del paragrafo 2.12 della circolare 12/E/2010, all’interno della quale è stato affermato che eventuali errori commessi nella dichiarazione del socio non determinano una responsabilità solidale dell’ente. Quindi, si potrebbe sostenere, per agevolare la lettura più semplice, che l’importo del credito segnalato dal singolo all’ente rappresenta un dato “cristallizzato” in merito al quale non possono derivare conseguenze negative per il soggetto che utilizza il credito in compensazione.
Il tempo stringe davvero; quindi, non ci resta che auspicare un pronto intervento delle Entrate.