Un tempo indefinito per l’accertamento
di Massimiliano TasiniC’era una volta l’articolo 43 D.P.R. 600/1973. Con riferimento alle imposte dirette, la norma prevedeva che il contribuente dovesse essere accertato entro la fine del quinto anno successivo da quello in cui era stata prodotta la dichiarazione; un anno in più se la dichiarazione era stata omessa.
Non era così la previsione Iva: in quest’ultimo caso, per l’ipotesi di infedeltà dichiarativa, l’articolo 57 prevedeva quattro e non cinque anni.
L’asimmetria fu corretta dal legislatore, che fece prevalere il termine quadriennale (quinquennale per l’omessa).
Dopo questo “accorciamento”, è arrivato l’”allungamento”.
Il D.L. 223/2006 ha introdotto il cd. “raddoppio dei termini”: in presenza di una fattispecie di rilevanza penal–tributaria (rectius: del fumus della stessa), il termine si raddoppiava, con la conseguenza che i quattro anni divenivano otto, ed i cinque anni dell’omessa divenivano dieci.
La Corte Costituzionale ha ritenuto che non di termine raddoppiato si trattasse, bensì di termine “allungato” fin dall’origine: la commissione di una siffatta violazione poneva dunque il contribuente dinanzi ad un termine “lungo” di accertamento.
Più di recente, l’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 128/2015 ha stabilito che il raddoppio dei termini non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria (o Guardia di finanza) sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini. Il successivo comma 3 ha stabilito che sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle Entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del decreto (2/9/2015). E che sono, altresì, fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire di cui all’articolo 5 del D.Lgs. 218/1997 notificati sempre al 2/9/2015, nonché dei PVC dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro la stessa data, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano stati notificati entro il 31 dicembre 2015.
L’articolo 1, comma 131, L. 208/2015 ha poi allungato i termini per l’accertamento per gli anni 2016 e successivi (fine del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, allungati a sette anni in caso di omessa); inoltre, ha previsto, con riferimento alle annualità pregresse, che il raddoppio dei termini non opera se la denuncia di reato è trasmessa oltre il termine ordinario.
In questo quadro, se già la giurisprudenza di merito – CTR Milano, sez. 28, sentenza n. 3858/2015 – aveva insistito, a dispetto del parere della Cassazione, nel ritenere che intanto il termine di accertamento potesse raddoppiare in quanto appunto la denuncia di reato fosse stata trasmessa nei termini, con l’entrata in vigore della L. 208/2015 a tanti è parso evidente che la scelta del legislatore è stata nel senso di accogliere la tesi della giurisprudenza di merito.
Così ha, ad esempio, ritenuto la CTP di Pesaro nella sentenza n. 777/2017 resa dalla sez. 2, con la quale si sostiene che, alla luce del mutato quadro normativo, il citato articolo 2, comma 3, del D.Lgs. 128/2015 deve ritenersi implicitamente abrogato, mancando una espressa previsione di salvezza nella L. 208.
Così non ha però ritenuto la Cassazione – sentenza n. 10345/2017 – secondo la quale, a dispetto del mutato quadro normativo, il cd. raddoppio dei termini continua ad integrare un’ipotesi di proroga dei termini ordinari, trattandosi di fattispecie distinte disciplinate direttamente ed autonomamente dalla legge in relazione a presupposti diversi, costituiti dal riscontro di elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale (per i primi) e dalla sussistenza di violazioni tributarie per le quali, invece, tale obbligo di denuncia non sussiste (per i secondi). In tal senso vedasi la sentenza della Cassazione n. 9322/2017.
Le ragioni di tale conclusione sono evidenziate nella sentenza della Cassazione n. 26037/2016, la quale ha precisato che:
- il regime transitorio introdotto dall’articolo 2, comma 3, del D.Lgs. 128/2015non è abrogato dal successivo regime transitorio previsto dall’articolo 1 della L. 208/2015;
- il secondo regime transitorio (L. 208) disciplina diversamente il regime ordinario del raddoppio dei termini di accertamento previsto dal decreto 128, disponendo che della L. 208, articolo 1, i commi 130 e 131 non si applicano agli avvisi relativi ai periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016 e introducendo per tali periodi d’imposta anteriori una specifica normativa transitoria per le sole ipotesi in cui non sia applicabile il precedente regime transitorio dettato dal decreto 128.
Da ultimo, si precisa che la stessa sentenza n. 26037/2016 ha ritenuto che l’intervenuta prescrizione del reato non è di per sè stessa d’impedimento all’applicazione del termine raddoppiato per l’accertamento, così come non rileva né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., mediante la formulazione dell’imputazione, nè la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, tenuto conto del noto meccanismo del “doppio binario” che regola i rapporti tra giudizio penale e tributario (così Cassazione sentenza n. 20043/2015).