12 Luglio 2016

Uniformato il trattamento per le società nella direttiva madre-figlia

di Gian Luca NiedduRoberto Bianchi
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La legge n. 122 del 7 luglio 2016disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea”, meglio nota come “legge europea” è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 132 del 8 luglio 2016.

All’interno delle svariate tematiche contenute nel provvedimento, che entrerà in vigore il prossimo 23 luglio, risultano numerosi gli interventi che rivestono un interesse per la disciplina tributaria.

L’emanazione di tale disciplina è stata stimolata anche “esternamente” in quanto, lo scorso 26 gennaio, la Commissione europea ha deliberato l’apertura di una nuova procedura di infrazione nei confronti dell’Italia (n. 2016/0106) per il mancato recepimento della direttiva 2014/86/UE del Consiglio, del 8 luglio 2014, recante modifica della direttiva 2011/96/UE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi.

La legge n. 80 del 7 aprile 2003 “Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale”, che ha introdotto la previsione di un sistema più omogeneo per la tassazione di tutte le rendite finanziarie, ha tuttavia contribuito a generare uno squilibrio in merito al trattamento fiscale, posto a carico dei partecipanti alle spese dello stato, relativo ai contratti di associazione in partecipazione con attribuzione di capitale e agli strumenti finanziari partecipativi. Per effetto di tale disposizione i redditi scaturenti da strumenti finanziari partecipativi, pur giovandosi della non imponibilità nella misura del 95% a favore delle società di capitali e degli enti non commerciali, vengono reputati utili esclusivamente nell’ipotesi in cui la menzionata remunerazione sia rappresentata unicamente da dividendi distribuiti dalla società partecipata residente al di fuori dei confini nazionali, per la quale tale remunerazione non risulti deducibile dal rispettivo reddito fiscalmente rilevante. Di contro – relativamente alle società partecipate residenti – tale remunerazione risulta essere deducibile esclusivamente nella misura in cui la stessa abbia concorso alla formazione dei risultati economici dell’emittente medesimo. Di conseguenza qualora il “titolo di credito” generasse un reddito distribuito composto sia da dividendi e sia da interessi, tale componente positivo verrebbe assoggettato a imposizione per la sua interezza, sebbene risultino deducibili, per il soggetto erogante, esclusivamente gli interessi passivi corrisposti all’investitore.

Ebbene la legge europea, attraverso l’articolo 26, ripropone un corretto bilanciamento disponendo il non assoggettamento del reddito, nella misura del 95%, per quella frazione del componente positivo di reddito che non risulta essere deducibile per il soggetto emittente.

Nel caso di specie, attraverso l’inserimento del novellato comma 3-bis all’interno dell’articolo 89 del TUIR, viene statuito che, per il 95% del loro importo complessivo, non partecipano alla formazione del reddito neanche le remunerazioni dei titoli, degli strumenti finanziari e dei contratti di cui all’articolo 109, comma 9, lettere a) e b) (contratti di associazione in partecipazione),  le remunerazioni delle partecipazioni al capitale o al patrimonio e a quelle dei titoli e degli strumenti finanziari di cui all’articolo 44, provenienti da soggetti dotati dei requisiti specificati dal comma 3-ter dell’articolo 89 del TUIR.

Pertanto, le menzionate remunerazioni devono giungere da una società che veste una delle forme giuridiche previste dall’allegato I, parte A, della direttiva n. 2011/96/UE, nella quale è posseduta una partecipazione diretta nel capitale non inferiore al 10%, per un periodo non interrotto di almeno un anno e residente, ai fini tributari, in uno Stato membro della UE, senza essere considerata, ai sensi della convenzione in tema di doppia imposizione sui redditi con uno Stato terzo, residente al di fuori della UE. Inoltre deve risultare assoggettata, nello Stato di residenza e senza la facoltà di beneficiare di regimi di opzione o di esonero che non siano territorialmente o temporaneamente limitati, a una delle imposte elencate nell’allegato I, parte B, della citata direttiva o a qualsivoglia ulteriore imposta che sostituisca una tra quelle elencate.

Relativamente ai proventi erogati da soggetti non residenti, l’esenzione introdotta con l’articolo 26 dalla legge 122/2016, risulta essere applicabile esclusivamente nel caso in cui gli stessi vengano corrisposti da soggetti giuridici in possesso dei requisiti pervisti per le “società madre”, insediate in uno dei paesi dell’Unione Europea e disciplinate dalla direttiva 90/435/Cee (nota come direttiva madre-figlia), in seguito rifusa nella direttiva 2011/96/Ue e infine modificata dalle direttive 2014/86/Ue del 8 luglio 2014 e 2015/121/Ue del 27 gennaio 2015, perseverando nel penalizzare le società Ue o appartenenti allo Spazio Economico Europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni (Norvegia e Islanda) che tuttavia non dispongono dei requisiti previsti dalla direttiva dell’Unione europea per le società madri e figlie, consistenti nel possedere una veste societaria tra quelle specificate nell’elenco allegato alla direttiva medesima, essere assoggettate, senza possibilità di opzione ed esenzione, a una delle imposte elencate nel medesimo allegato, essere considerate, secondo le disposizioni fiscali di uno Stato membro, come ivi aventi il domicilio fiscale e, ai sensi della convenzione contro le doppie imposizioni conclusa con uno Stato terzo, come non aventi tale domicilio fuori dell’Unione Europea.

Non possiamo inoltre esimerci dall’evidenziare la peculiarità per la quale le novellate regole risultano essere applicabili esclusivamente alle società e non alle persone fisiche.

Significativa si dimostra essere l’azione effettuata in merito ai contratti di associazione in partecipazione con conferimento di capitale. Attualmente i componenti positivi risultano essere irrilevanti ai fini della quantificazione del reddito nella misura del 95% (articolo 89, comma 2 TUIR) oltre che rivelarsi completamente indeducibili per la società partecipata (articolo 109, comma 2, lett. b) TUIR). Queste disposizioni non vengono modificate dall’intervento normativo in commento, che tuttavia ha previsto di affiancare a queste ultime una disposizione ulteriore che contempla l’applicazione del criterio della non imponibilità nella misura del 95% limitatamente alla parte di reddito indeducibile nella quantificazione del guadagno imponibile del soggetto erogante che, in forza del requisito della “novità”, dovrebbe superare le disposizioni più datate.

In conseguenza di tutto ciò è stato opportunamente integrato l’articolo 27-bis del D.P.R. 600/1973 (rimborso della ritenuta sui dividendi distribuiti a soggetti non residenti) afferente l’inapplicabilità della ritenuta ai dividendi distribuiti da società con decorrenza dalle erogazioni disposte dal 1 gennaio 2016. Con la nuova formulazione del comma 1-bis viene disposto che la previsione di non applicazione della ritenuta sugli utili distribuiti all’interno di un gruppo societario (società madre e società figlia) si applica anche alle remunerazioni indicate nell’articolo 89, comma 3-bis, TUIR, in misura corrispondente alla quota non deducibile nella determinazione del reddito della società erogante (95% dell’ammontare).

La menzionata rettifica normativa si innesta in un articolato disegno che si pone l’obiettivo di concretizzare una pluralità di provvedimenti di contrapposizione a casistiche di doppia non imposizione, imputabili alla insufficiente armonizzazione delle discipline tributarie dei diversi paesi membri.

L’intervento normativo si prefigge l’ambizioso obiettivo di contrastare la realizzazione di operazioni di arbitraggio fiscale in grado di generare situazioni di doppia non imposizione, grazie allo sfruttamento indebito di disarmonie impositive riscontrabili tra i diversi ordinamenti nazionali, mentre il divieto di applicazione della direttiva “madre-figlia” alle articolazioni societarie definite “costruzioni non genuine”, disposto dalla direttiva 2015/121/Ue, viene recepito attraverso il rimando alla disciplina antielusiva contenuta nell’articolo 10-bis della legge 212/2000, meglio nota come “statuto dei diritti del contribuente”.