Tuttavia, la “divisione” tra nuda proprietà e usufrutto nell’ambito della quota societaria di una società di capitali porta con sé alcune complicazioni in merito all’esercizio dei diritti sociali, sia di natura amministrativa, ma soprattutto di natura patrimoniale. Per quanto riguarda i primi, l’articolo 2352, cod. civ., per le società per azioni, e l’articolo 2471-bis, cod. civ., per le società a responsabilità limitata (che rimanda all’articolo 2352, cod. civ.) prevedono che, in caso di usufrutto, il diritto di voto, salvo convenzione contraria, spetta all’usufruttuario.
Per quanto riguarda i secondi, ossia i diritti patrimoniali, è necessario rifarsi alla disciplina generale del diritto di usufrutto, contenuta negli articoli 958 e ss., cod. civ., in quanto l’articolo 2352, cod. civ., non contiene alcuna disposizione al riguardo. Le regole generali prevedono che il diritto agli utili spetta all’usufruttuario, il cui diritto matura con la delibera di distribuzione da parte dell’assemblea dei soci. Nulla viene invece disposto con riferimento alle riserve di utili e di capitale che si sono formate sia prima che dopo la costituzione del diritto di usufrutto.
Si pone, quindi, la questione di stabilire chi sia il soggetto legittimato (nudo proprietario o usufruttuario) a ricevere tali somme in presenza di una delibera dei soci che intenda distribuire tali riserve. In dottrina il dibattito è ampio, anche se la posizione più affermata è quella sostenuta anche dal Notariato del Triveneto, secondo cui le riserve di utili spetterebbero al nudo proprietario, in quanto la distribuzione di tali riserve rientrerebbe nel concetto di riscossione di capitali (di cui all’articolo 1000, cod. civ.).
In particolare, con l’orientamento H.I.27, il Comitato Notarile delle Tre Venezie ha sostenuto che l’articolo 2352, cod. civ., disciplina solamente l’attribuzione dei diritti amministrativi in caso di usufrutto sulle azioni (o quote), e non anche quelli patrimoniali. Tale carenza normativa sta a significare, secondo tale impostazione, che i diritti patrimoniali spettanti all’usufruttuario siano limitati al diritto di percezione dei frutti civili, e quindi solamente agli utili dell’esercizio di cui sia deliberata la distribuzione.
Pertanto, gli utili destinati dall’assemblea a riserva non spetterebbero all’usufruttuario, in quanto la decisione di non distribuirli significa la volontà di capitalizzarli, con definitiva attribuzione al patrimonio della società. L’eventuale successiva delibera di distribuzione della riserva equivale al pagamento di un capitale e non di un frutto civile, per cui il diritto alla riscossione spetterebbe al nudo proprietario (il quale, ai sensi dell’articolo 1000, cod. civ., dovrà esercitarlo in concorso con l’usufruttuario e sulle somme riscosse si trasferirà l’usufrutto).
La posizione descritta è stata oggetto di importanti critiche (soprattutto da parte di coloro che sostengono che le riserve formatesi dopo la costituzione dell’usufrutto spettino all’usufruttuario), alla luce delle quali lo stesso Comitato delle Tre Venezie è intervenuto con due massime (H.G.42 per le Spa e I.G.54 per le Srl), sostenendo la possibilità per i soci di costituire riserve con finalità specifiche, ivi compresa la possibilità di deliberare che gli utili accantonati in apposita riserva spettino all’usufruttuario al momento della successiva distribuzione, perché in quel momento la società non ha le disponibilità liquide per il pagamento, o perché in quel momento l’usufruttuario non ha la necessità di incassare.
Nessun dubbio, invece, in merito alla spettanza delle riserve di capitale (generalmente formatesi con versamenti a patrimonio netto da parte dei soci), spettanti in ogni caso al nudo proprietario, trattandosi di restituzione del capitale investito.