Le regole generali prevedono che il diritto agli utili spetta all’usufruttuario, il cui diritto matura con la delibera di distribuzione da parte dell’assemblea dei soci. Nulla viene disposto, invece, con riferimento alle riserve di utili e di capitale che si sono formate sia prima che dopo la costituzione del diritto di usufrutto, così come nulla è detto in relazione al soggetto cui spetta la liquidazione della quota all’atto della cessazione dell’attività sociale.
In relazione a tale ultimo aspetto, due relativamente recenti sentenze della Corte di Cassazione (n. 11170/2024 e n. 11357/2024) hanno prima di tutto affermato che l’usufrutto sulla partecipazione sociale costituito per tutta la vita del beneficiario persona fisica non cessa con la messa in liquidazione della società, bensì solo all’atto dell’effettiva cancellazione della società dal Registro Imprese.
Per quanto riguarda, invece, il soggetto titolato a percepire la liquidazione della quota, la Cassazione ritiene che prima di tutto si debba verificare se, anche dopo la messa in liquidazione, la partecipazione sociale possa produrre utili. La risposta deve essere affermativa, e sul punto tornano utili le indicazioni contenute, sotto il profilo fiscale, nell’articolo 47, comma 7, Tuir, secondo cui “le somme ricevute dai soci in caso di liquidazione delle società costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate”. Secondo la Suprema Corte, poiché tale norma si riferisce agli “utili”, si tratterebbe di un frutto civile della partecipazione societaria e, come tale, spettante all’usufruttuario. È stato affermato il seguente principio di diritto: “nel caso in cui la quota sociale di una società a responsabilità limitata sia costituita in usufrutto, le somme ricavate dalla liquidazione volontaria della società, costituenti un utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle quote, spettano all’usufruttuario, con la conseguenza che il rapporto d’imposta avente ad oggetto tale utile sorge, ad ogni effetto, tra l’Amministrazione e l’usufruttuario”.
Questa conclusione smentisce la posizione assunta dalla dottrina notarile del Triveneto, che con le Massime H.I.27 e I.I.32 ha affermato che la distribuzione delle riserve accantonate spettino al nudo proprietario e non all’usufruttuario, poiché non si tratterebbe di frutti civili, bensì di ripartizione di “capitale”.
Il Principio di diritto affermato si presta a numerose critiche, ma in questa sede ci si limita ad osservare che il riferimento alla nozione di “utile”, inserita nell’articolo 47, comma 7, Tuir, ha la mera funzione di individuare la categoria reddituale (reddito di capitale, ossia dividendo ed a prescindere dalla tipologia di riserve assegnate) in cui inquadrare il reddito derivante dalla liquidazione della quota sociale di una società di capitali a favore del socio persona fisica, e non anche il beneficiario.
Su tale ultimo aspetto, la conclusione è semmai contraria, visto che l’articolo 47, comma 7, Tuir, si riferisce al socio, ossia il nudo proprietario, quale soggetto passivo d’imposta. Per completezza, si segnala che il tema è stato “sfiorato” anche nella recente risposta a interpello n. 30/E/2025, in cui l’Agenzia ha ribadito che la disciplina di attribuzione delle riserve di utili riguarda aspetti civilistici che esulano dalla propria competenza.