Utili reinvestiti: agevolazione di difficile applicazione
di Fabio GarriniNel disegno di Legge di bilancio 2019, all’articolo 8, compare una agevolazione denominata “tassazione agevolata degli utili reinvestiti per l’acquisizione di beni materiali strumentali e per l’incremento dell’occupazione” (ma la formulazione è stata modificata nelle diverse versioni del DDL); tale agevolazione, che sostituisce l’Ace (la quale dovrebbe essere abrogata ad opera del successivo articolo 88), oltre a presentare una denominazione meno “maneggiabile”, anche nella sostanza si presenta molto più articolata e, almeno ad una prima analisi, molto meno vantaggiosa.
Questo non solo per il fatto che ad una detassazione è stata preferita una riduzione dell’aliquota di 9 punti percentuali (quindi, per i soggetti Ires, il reddito agevolato non sarà escluso da imposta, ma richiederà il pagamento di un’imposta nella misura del 15% in luogo del 24%), ma soprattutto perché l’agevolazione scaturisce da un incrocio di diversi fattori che devono combinarsi per ottenere un effettivo vantaggio.
Nel presente contributo, piuttosto che scendere nel tecnicismo del funzionamento dell’istituto (attività non certo agevole visto il modo contorto con cui è attualmente stato presentato il testo di legge e, peraltro, poco utile, visto che l’attuale formulazione potrebbe ancora modificarsi nei passaggi parlamentari di approvazione della manovra), interessa principalmente analizzare le regole generali che lo governano, per capire quali siano gli elementi che conferiranno al contribuente il diritto ad ottenere lo sconto d’imposta.
Gli utili reinvestiti
Il primo comma dell’articolo 8 reca il meccanismo base di funzionamento dell’agevolazione: viene agevolato il reddito per la parte corrispondente agli utili del periodo d’imposta precedente, conseguiti nell’esercizio di attività commerciali, accantonati a riserve diverse da quelle non disponibili, nei limiti dell’importo corrispondente alla somma:
- degli investimenti effettuati in beni strumentali materiali nuovi;
- del costo del personale dipendente assunto con contratto a tempo determinato o indeterminato.
In altre parole, per ottenere un vantaggio occorre prima di tutto avere un reddito d’esercizio da agevolare, oltre che un utile dell’esercizio precedente da destinare a riserva, ma è altresì necessario che il contribuente effettui uno sforzo, investendo esattamente in due fattori produttivi, ossia, alternativamente, in beni strumentali ovvero nell’assunzione di nuovo personale (ovvero anche entrambi posto che questi due incrementi vengono considerati cumulativamente).
Già questo meccanismo evidenzia una complessità superiore all’Ace, visto che occorre verificare la contemporanea presenza di più elementi (si tratta una agevolazione che assomiglia alla poco apprezzata “agevolazione Visco” di cui alla L. 133/1999).
Ciò posto, il problema maggiore risiede nella complessità con la quale sono stati definiti i parametri da prendere a riferimento. In particolare, si definisce “investimento” non tanto l’importo speso per acquistare il bene, ma piuttosto la quota di ammortamento di tale bene che viene dedotta, con la conseguenza che, per ottenere una piena agevolazione, non basta effettuare l’acquisto del bene con utile accantonato in quell’anno, ma serve effettuare accantonamenti di utili nei futuri periodi d’imposta nei quali sono stanziate le quote di ammortamento riferibili a tale bene. Oltretutto, quale ulteriore limite, è necessario che le quote di ammortamento agevolato siano superiori all’incremento della dotazione di beni strumentali posseduti dall’impresa rispetto al 31 dicembre 2018, comprimendo l’agevolazione nel caso in cui l’impresa effetti delle dismissioni, anche di beni diversi da quelli agevolati.
Anche il fattore lavoro presenta analoga complessità visto che il costo del nuovo personale è agevolato a patto che vi sia un incremento del numero medio dei lavoratori rispetto a quelli in forza al 30 settembre 2018 e nei limiti dell’incremento del costo del personale indicato in bilancio rispetto all’esercizio in corso al 31 dicembre 2018.
A questo va aggiunta la richiesta di impiego dei lavoratori in strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato, nonché una giusta previsione di sterilizzazione che abbia a riferimento il personale impiegato nel gruppo societario.
Tale meccanismo deve poi essere coordinato con un oscuro meccanismo di riporto delle eccedenze inutilizzate dei 3 diversi parametri, ossia utili accantonati, investimenti e costo del personale: anche tale previsione appare corretta nella logica, ma già dal tenore della norma si dimostra eccessivamente articolata da gestire visto che deve tenere in considerazione oltre ai 3 parametri richiamati anche l’utile maturato nel periodo d’imposta in cui viene invocata l’agevolazione.
In conclusione, si deve osservare come venga sostituito un istituto, l’Ace, che era nato con regole semplici con il D.L. 201/2011 e poi era divenuto progressivamente più articolato con i successivi interventi, con una norma che già da subito si dimostra eccessivamente articolata, non lasciando sperare nulla di buono per il suo sviluppo futuro.