Utilizzo dei documenti extracontabili acquisiti presso terzi
di Marco BargagliCome noto, gli articoli 52 D.P.R. 633/1972 e 33 D.P.R. 600/1973, rubricati “accessi, ispezioni e verifiche” disciplinano i poteri riservati ai funzionari dell’Amministrazione finanziaria nel corso di una verifica fiscale, rispettivamente ai fini Iva e imposte sui redditi.
In particolare, per espressa disposizione normativa, gli uffici finanziari possono disporre l’accesso di loro funzionari nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni.
L’ispezione e l’acquisizione documentale può essere estesa a tutti i libri, registri, documenti e scritture, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie (di natura extracontabile), che si trovano nei locali in cui l’accesso viene eseguito o che sono comunque accessibili tramite apparecchiature informatiche installate in detti locali.
Quindi, i verificatori potranno acquisire al controllo tutta la documentazione contabile ed extracontabile che successivamente costituirà un valido supporto per la ricostruzione del reddito e del volume d’affari del soggetto verificato.
Nella prassi operativa può accadere che, nel corso delle operazioni di ricerca effettuate presso i locali del contribuente ispezionato, venga reperita documentazione di soggetti terzi.
Di conseguenza, occorre domandarci se i dati e le notizie eventualmente acquisiti (es. presenza di una “contabilità in nero” comprovante l’esistenza di operazioni non fatturate), possano poi essere utilizzati per fondare un successivo accertamento tributario nei confronti di un altro contribuente, costituendo un idoneo quadro indiziario che faccia scattare le presunzioni legali previste dall’articolo 39, comma 1, lett. d) D.P.R. 600/1973 che, tuttavia, devono essere connotate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Sullo specifico punto, il manuale operativo diramato dal Comando Generale della Guardia di Finanza, ha chiarito che è rilevabile nella giurisprudenza di legittimità una generale e consolidata tendenza a riconoscere alle risultanze della documentazione extracontabile, intesa nelle sue diverse e concrete manifestazioni, valore di presunzione idonea a legittimare la ricostruzione analitico – induttiva del reddito, anche in presenza di contabilità regolare.
Il citato documento di prassi ricorda che la predetta giurisprudenza riconosce che sia utilizzabile nei confronti di un certo contribuente documentazione, anche extracontabile, acquisita nel corso di attività istruttorie svolte nei riguardi di soggetti diversi, e quindi al di fuori della sede di esercizio o della professione o di domicili privati dei relativi titolari, a condizione che:
- dai relativi contenuti si rilevi pur sempre ed in maniera parimenti inequivocabile la riferibilità soggettiva della documentazione medesima, ovvero di talune delle operazioni ivi indicate, al contribuente nei cui riguardi si intende utilizzare la stessa documentazione;
- nei confronti di quest’ultimo si intraprenda una specifica attività istruttoria distinta da quella nel cui contesto è avvenuta l’acquisizione (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume III – parte V – capitolo 1 “Le metodologie di controllo basate su prove presuntive: il riscontro indiretto presuntivo”, 38).
Sempre in tema di utilizzabilità dei dati e notizie, anche di natura extracontabile, acquisite presso soggetti terzi, si è espressa la suprema Corte di cassazione, sezione 6^ civile, con la recente ordinanza n. 10395 del 30.04.2018.
Il caso sottoposto al vaglio dei supremi giudici ha riguardato un accertamento per “vendite non fatturate” a carico di un determinato contribuente che l’Ufficio aveva desunto da una verifica fiscale eseguita presso un altro soggetto economico, presso il quale era stata rinvenuta contabilità in nero su supporto informatico (nel caso di specie una “pen drive”) attestante l’esistenza di operazioni commerciali non fatturate.
Sullo specifico punto, gli ermellini hanno ritenuto che la contabilità parallela acquisita presso terzi costituisce un dato indiziario pienamente utilizzabile per fondare l’accertamento nei confronti del contribuente.
In particolare, in sede di legittimità, è stato affermato il principio secondo cui la “contabilità in nero” seppur rinvenuta presso terzi e costituita da appunti ed informazioni dell’imprenditore, integra un valido elemento indiziario, incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria al fine di dimostrare l’infondatezza della pretesa impositiva.
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