Valido l’avviso di accertamento effettuato presso il vecchio domicilio fiscale
di Angelo GinexIn tema di notificazione, nella ipotesi in cui l’avviso di accertamento venga notificato presso il vecchio domicilio fiscale del contribuente, tale notifica è valida se l’indirizzo è quello indicato nella dichiarazione dei redditi, l’unico da tenere in considerazione in virtù del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario.
Sono queste le conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione con ordinanza n. 13843, depositata ieri 20 maggio,
La vicenda trae origine dall’impugnazione di una cartella di pagamento, di cui il contribuente eccepiva l’illegittimità per mancata notifica del prodromico avviso di accertamento. Il ricorso veniva accolto dalla competente Commissione tributaria provinciale, ma il giudice di appello, adito dall’Agenzia delle Entrate, riformava la sentenza di primo grado.
In particolare, si affermava che il lamentato vizio di notifica non sussistesse, poiché il contribuente, nelle dichiarazioni dei redditi a partire dall’anno 2006, aveva indicato la precedente residenza anagrafica come quella da tenere in considerazione. Egli, infatti, nell’apposito quadro da compilare in caso di variazione di residenza, aveva inserito il codice relativo al Comune presso il quale era residente prima del trasferimento e ciò – secondo il ragionamento della CTR – aveva indotto l’Amministrazione a considerare la residenza anagrafica ad essa dichiarata.
Pertanto, il contribuente proponeva ricorso in Cassazione eccependo, tra gli altri motivi, la violazione dell’articolo 60, commi 1, lett. c), e 3, D.P.R. 600/1973 in relazione all’articolo 58, comma 5, dello stesso decreto, poiché la Commissione tributaria regionale aveva ritenuto valida la notificazione dell’avviso di accertamento prodromico effettuata nel 2008 presso il precedente domicilio fiscale nonostante egli nel 2006 lo avesse trasferito in un altro Comune. Il ricorrente sottolineava che le disposizioni evocate «prevedono che la notifica deve essere eseguita presso il domicilio fiscale e comunque nel luogo in cui il contribuente destinatario dell’atto è effettivamente reperibile, senza che potesse assumere alcun rilievo il dato anagrafico indicato nella dichiarazione».
Nella pronuncia in esame, la Corte di Cassazione, facendo riferimento alle dichiarazioni dei redditi presentate dal ricorrente per gli anni 2006, 2007 e 2008, ha fatto innanzitutto notare come sia stato egli stesso ad indicare, nell’apposito quadro da compilare solo in caso di variazione di residenza, la precedente residenza anagrafica come quella da tenere in considerazione ai fini fiscali.
Fatta questa precisazione in punto di fatto, i giudici di vertice hanno sì rammentato che l’articolo 60, comma 1, lett. c), D.P.R. 600/1973 stabilisce che le notificazioni ai contribuenti debbano essere effettuate nel domicilio fiscale del destinatario che, in base all’articolo 58, comma 2, dello stesso decreto, per le persone fisiche si colloca nel comune nella cui anagrafe sono iscritte.
Tuttavia, per quanto ciò sia indiscutibile – essi hanno subìto precisato – è anche vero che in base a quanto disposto dalle stesse norme citate (in particolare, i citati articoli 60, comma 3, e 58, comma 5) non può dedursi che l’indicazione della residenza contenuta nella dichiarazione dei redditi sia priva di effetti ai fini della notificazione degli atti dell’amministrazione finanziaria (cfr., Cass. sent. 14/12/2016, n. 25680).
Ove si ragionasse diversamente, si perverrebbe alla situazione in cui, prima di notificare un atto al contribuente, mediante una verifica sui registri anagrafici, l’Amministrazione dovrebbe controllare l’attualità dell’indicazione della residenza contenuta nella dichiarazione dei redditi. Peraltro, tale interpretazione – ha affermato la Suprema Corte – «renderebbe del tutto priva di scopo l’indicazione della residenza nella dichiarazione dei redditi prescritta dal quarto comma dell’articolo 58 del D.P.R. 600/73, a norma del quale, nel testo applicabile ratione temporis, “in tutti gli atti, contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono presentati agli uffici finanziari deve essere indicato il comune di domicilio fiscale delle parti con la precisazione dell’indirizzo».
Infatti, ai sensi dell’articolo 58 D.P.R. 600/1973, al dovere del contribuente di dichiarare un determinato domicilio o sede fiscale ed un determinato rappresentante legale, non corrisponde l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di verificare e controllare l’attualità e l’esattezza del domicilio eletto (cfr. Cass. sent. 29/11/2013, n. 26715).
A sostegno di tali conclusioni vi è inoltre l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione secondo cui l’indicazione nella dichiarazione dei redditi della propria residenza va effettuato in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario (cfr., Cass. sent. 20.02.2020, n. 4412).
In virtù delle suesposte argomentazioni, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, avendo ritenuto che la Commissione tributaria regionale dell’Umbria non abbia commesso alcun error in iudicando con l’escludere l’invalidità della notificazione del prodromico avviso di accertamento effettuata presso l’indirizzo indicato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi. Nel caso di specie, dunque, si è ritenuto che la notificazione si fosse perfezionata nonostante l’indicazione difforme rispetto alle risultanze anagrafiche, «non importa se per errore o per malizia».