Valore delle partecipazioni acquisite per successione
di Davide David
Gli eredi di quote di partecipazione (o di azioni) in società sono chiamati a individuare il valore da indicare nella dichiarazione di successione, il quale rileva anche ai fini della tassazione diretta in caso di una eventuale cessione delle quote (o delle azioni).
Si esamina, di seguito, il caso delle partecipazioni in società di capitali non quotate in borsa.
In linea generale, giusto quanto disposto dall’art. 1 del D.Lgs. 346/1990 (c.d. “TUS”), il trasferimento per successione di dette partecipazioni è soggetto all’imposta sulle successioni.
In deroga a tale statuizione, l’art. 3, comma 4-ter, del TUS, statuisce però che non sono soggetti all’imposta sulle successioni i trasferimenti di quote sociali effettuati, anche tramite i patti di famiglia, a favore dei discendenti e del coniuge, a condizione che, nel caso di società di capitali, gli aventi causa detengano il controllo della società partecipata per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento (previo apposito impegno da assumere in sede di presentazione della dichiarazione di successione).
Se non opera l’esenzione di cui sopra, la base imponibile per l’imposta di successione è determinata, ai sensi dell’art. 16, comma 1, lettera b), del TUS, assumendo “il valore proporzionalmente corrispondente al valore, alla data di apertura della successione, del patrimonio netto dell’ente o della società risultante dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti”.
In origine la norma statuiva che al valore quale sopra determinato doveva essere aggiunto anche l’avviamento. Tale statuizione è stata però soppressa dalla legge 342/2000. Da ciò consegue che, in ogni caso, ai fini dell’imposta sulle successioni non deve essere mai tenuto conto dell’avviamento imputabile alla società partecipata (come del resto espressamente statuito dall’art. 8, comma 1-bis, del TUS).
Per le partecipazioni in società di capitali “non quotate” il valore da dichiarare ai fini dell’imposta sulle successioni va quindi desunto dall’ultimo bilancio pubblicato antecedentemente alla data di apertura della successione, senza operare delle diverse valutazioni rispetto a quelle richieste per la redazione del bilancio.
In ipotesi di successiva cessione delle partecipazioni acquisite per successione l’erede deve assoggettare a tassazione diretta la relativa plusvalenza, determinata, giusto quanto disposto dll’art. 68, comma 6, del TUIR, dalla differenza tra il corrispettivo percepito e il costo fiscale e cioè “il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione, nonché per i titoli esenti da tale imposta, il valore normale alla data di apertura della successione”. A detto fine il costo fiscale, come sopra definito, va aumentato dell’imposta di successione (con conseguente riduzione della plusvalenza tassabile).
A tale proposito l’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 12/E del 2008, ha affermato che:
- per le partecipazioni dichiarate ai fini dell’imposta sulle successioni deve essere assunto il valore dichiarato o definito a detti fini, anche qualora l’imposta sulle successioni non sia risultata dovuta in quanto la quota di eredità spettante a ciascun beneficiario non ha superato gli importi minimi previsti per l’imposizione (c.d. “franchigia”);
- per le partecipazioni non soggette all’imposta sulle successioni deve essere invece assunto il valore normale delle stesse alla data di apertura della successione.
Da ciò consegue che per le partecipazioni in società di capitali non assoggettate ad imposta sulle successioni ai sensi dell’art. 3, comma 4-ter, del TUS (in quanto trasferite ai discendenti e/o al coniuge e detenute per almeno cinque anni in posizione di controllo della società partecipata) la plusvalenza va determinata assumendo il valore normale delle stesse alla data di apertura della successione (e non quello risultante dall’ultimo bilancio depositato antecedentemente all’apertura stessa).
Diversamente, per le partecipazioni in società di capitali soggette all’imposta sulle successioni (in quanto non operante la condizione di esenzione di cui sopra), la plusvalenza va determinata assumendo il valore da dichiarare ai fini dell’imposta di successione, cioè quello desumibile dal bilancio (anche qualora l’imposta non sia risultata dovuta per effetto della franchigia).
Sempre con la circolare n. 12/E del 2008, l’Agenzia delle entrate ha affermato altresì che, per le partecipazioni soggette all’imposta sulle successioni, per la determinazione della plusvalenza imponibile occorre sempre fare riferimento, salvo rettifica da parte dell’ufficio, al valore delle partecipazioni determinato secondo le modalità dettate dall’art. 16 del TUS (quindi in ragione dei dati di bilancio), lasciando apparentemente intendere che se in dichiarazione di successione è stato indicato un valore superiore a quello da determinarsi in applicazione del richiamato art. 16, comunque la plusvalenza va determinata assumendo il valore che doveva essere dichiarato in base a tale norma.
Va infine ricordato che, per quanto sostenuto dall’Agenzia delle entrate (vedasi, in particolare, la circolare n. 12/E del 2008) per la determinazione della plusvalenza imponibile gli eredi non possono assumere il valore risultante dalla rideterminazione operata dal de cuius beneficiando della normativa sulle rivalutazioni, ma devono considerare soltanto il valore definito ai fini dell’imposta successoria sommato all’imposta stessa.