I valori deliberati dal Comune ai fini Imu sono inutili
di Fabio GarriniRecentemente la Cassazione è tornata sul tema dei valori che devono essere assunti quale base imponibile per le aree fabbricabili e, soprattutto, sulla valenza da attribuire alle delibere comunali che fissano tali valori per zone omogenee.
Si tratta di un tema dibattuto, dove recenti pronunce hanno assunto una posizione che lascia non poco perplessi.
La posizione espressa nella ordinanza n. 4969 del 02.03.2018 porta a disconoscere l’effetto autolimitante che dette delibere dovrebbero assumere: in tale pronuncia si afferma infatti che, quando da atti pubblici siano desumibili valori superiori a quelli tabellari, il Comune ha diritto a chiedere l’imposta sulla base di tali maggiori valori.
Conseguentemente, i valori contenuti in dette delibere divengono, di fatto, inutili.
I valori deliberati dal Comune
Uno degli aspetti più delicati riguardanti la tassazione locale sui terreni edificabili è la determinazione della base imponibile: l’articolo 5, comma 5, D.Lgs. 504/1992 richiede infatti che il contribuente faccia riferimento al valore venale in comune commercio, aspetto che ovviamente impone un certo margine di apprezzamento soggettivo.
Per cercare di ridurre l’alea riguardante la valorizzazione dei terreni edificabili, i Comuni determinano periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento del Comune qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, secondo criteri improntati al perseguimento dello scopo di ridurre l’insorgenza di contenzioso.
Lo scopo di tale previsione è fissare valori univoci e precisi, solitamente convenienti per il contribuente, allo scopo di incentivare i contribuenti ad utilizzarli per la tassazione dei terreni edificabili.
Tale previsione, introdotta originariamente ai fini Ici dall’articolo 59, comma 1, lett. g), D.Lgs. 446/1997, è stata abrogata dal D.L. 16/2012, limitando il rinvio al solo articolo 52, riguardante la generale potestà regolamentare del Comune.
Ai fini Imu, pertanto, tali delibere parevano relegate al rango di semplici indicazioni di valore. Nell’ambito delle “linee guida regolamentari” approvate dal Ministero si legge: “Nulla vieta, peraltro, che la disposizione regolamentare di autolimitazione dei poteri di accertamento possa essere riproposta anche per l’Imu.”
Ciò sta a significare che:
- se il Comune introduce tale effetto “autolimitante” (come era nel passato) il contribuente può adeguarsi al valore deliberato, beneficiando del relativo effetto definitorio;
- se il Comune nulla dice nel proprio regolamento, i valori deliberati sono solo indicativi e l’adeguamento a tali valori non offre nessun effetto benefico per il contribuente.
Quindi è ancora tutt’oggi possibile per il Comune introdurre una delibera con effetto autolimitante.
Su tale aspetto consta la posizione precedentemente richiamata, in base alla quale il Comune avrebbe la possibilità di disattendere tali delibere, per contestare valori superiori a quelli deliberati, negando l’effetto autolimitante.
Si veda, ad esempio, la recente sentenza della Cassazione ordinanza n. 4969 del 02.03.2018, secondo la quale “il perseguimento della finalità deflattiva del contenzioso non è ostacolato dal riferimento a valori di mercato agevolmente ed univocamente desumibili da “atti pubblici o privati” di cui il Comune di Fagnano Olona abbia il possesso o la concreta conoscenza, trattandosi di elementi sufficientemente specifici ed in grado di contraddire quelli di segno diverso ricavati in via presuntiva dai rilevati valori delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche”.
La posizione assunta lascia davvero perplessi.
A seguito di tale interpretazione, che scopo avrebbe stabilire dei valori autolimitanti che autolimitanti in realtà non sono? A ben vedere, per quale motivo il contribuente dovrebbe essere spinto ad adeguarsi a tali valori se poi non riceve alcuna protezione?
La posizione assunta dalla Cassazione finisce quindi per snaturare del tutto il principio che aveva spinto il Legislatore ad introdurre la previsione in commento.
Se questa è l’interpretazione che occorre attribuire ai valori deliberati dai Comuni, tanto vale affermare che detti valori sono delle mere indicazioni di massima che l’Ente offre ai contribuenti, eliminandone ogni efficacia giuridica.
In ogni caso, tanto ai fini Ici, quanto ai fini Imu, nessun dubbio è presente nella situazione contraria: se il contribuente ritiene che il valore dell’area sia inferiore a quello deliberato, egli andrà a dichiarare il valore effettivo, versando la relativa imposta, ovviamente premurandosi di precostituirsi elementi per giustificare tale valore in caso di future contestazioni.
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8 Maggio 2018 a 7:05
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