Variazione Iva per i contratti ad esecuzione continuata o periodica
di Marco PeiroloA fronte della risoluzione per inadempimento da parte del consumatore finale di un contratto di abbonamento a servizi telefonici, il prestatore, in base alla norma sopravvenuta introdotta dall’articolo 1, comma 126, L. 208/2015 (Legge di Bilancio 2016), ha la facoltà di variare in diminuzione la base imponibile dell’IVA in relazione alle prestazioni eseguite e non remunerate anteriormente alla risoluzione.
È il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 12468 del 10.05.2019 in merito alla portata dell’articolo 26, comma 9, D.P.R. 633/1972, che nella formulazione novellata dalla Legge di Bilancio 2016 disciplina l’ipotesi della variazione in diminuzione da operare per i contratti ad esecuzione continuata o periodica, risolti a seguito dell’attivazione, da parte del cedente/prestatore, della clausola risolutiva espressa collegata al mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario/committente.
L’ipotesi ricorre frequentemente in molti settori industriali, come in quelli delle forniture di energia elettrica, gas, servizi telefonici, servizi televisivi, ecc., nei quali le imprese emettono le fatture prima del pagamento del corrispettivo e si trovano, quindi, ad anticipare all’Erario l’imposta addebitata ai clienti in via di rivalsa. Tali imprese devono gestire una mole considerevole di mancati pagamenti per importi unitari il più delle volte contenuti e si trovano a subire notevoli oneri finanziari per il fatto di dover versare un’imposta che non hanno potuto ribaltare sui clienti.
Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, le parti hanno convenuto che il mancato adempimento di una data obbligazione (per esempio, dell’obbligo di pagamento del prezzo di una fornitura) possa determinare la risoluzione del contratto a seguito della semplice dichiarazione resa alla controparte di volersi valere della clausola.
Dato che la risoluzione, in questa ipotesi, esplica effetti “di diritto”, senza necessità di adire l’autorità giudiziaria, si è sostenuto che la possibilità di effettuare la variazione in diminuzione fosse ammessa per il solo fatto che il fornitore dichiarasse di volersi avvalere della clausola, senza necessità di promuovere una procedura esecutiva e attenderne l’esito.
Tale conclusione non era condivisa dagli Uffici i quali, in varie occasioni, avevano contestato la legittimità delle variazioni nel presupposto che la disciplina prevista dall’articolo 26 D.P.R. 633/1972 per i mancati pagamenti dei corrispettivi fosse applicabile anche nei casi in cui il contratto fosse stato risolto – a causa dell’inadempimento – relativamente alle prestazioni eseguite e non pagate.
Con il novellato dell’articolo 26, comma 9, D.P.R. 633/1972 è stata risolta la questione con una disposizione di interpretazione autentica, secondo cui è possibile recuperare l’imposta per i corrispettivi non pagati relativi a forniture di beni o servizi nell’ambito di contratti ad esecuzione continuata o periodica nei casi in cui la risoluzione conseguente all’inadempimento (sia giudiziale che di diritto) abbia effetto retroattivo a partire dalle forniture per le quali non è stato pagato il corrispettivo nonostante il cedente/prestatore abbia correttamente adempiuto al proprio obbligo di consegnare i beni o rendere i servizi pattuiti.
Come sottolineato da Assonime nella circolare 5/2016, non è di ostacolo a tale soluzione la circostanza che l’articolo 1458 cod. civ. dispone, proprio con riferimento a questa tipologia di contratti, che l’effetto retroattivo della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite. Per prestazioni eseguite, infatti, s’intendono quelle che abbiano avuto piena efficacia satisfattiva. La dottrina civilistica ha precisato cosa deve intendersi con la suddetta locuzione, ritenendo che le prestazioni già eseguite sono quelle per le quali si sia realizzata la piena soddisfazione delle reciproche ragioni creditorie in attuazione del nesso sinallagmatico, in modo che, rispetto alle reciproche prestazioni, il rapporto si è esaurito e non vi è ragione di prevedere un effetto restitutorio, dato che per tali prestazioni pregresse si è già realizzato il riequilibrio delle situazioni reciproche delle parti. La nuova disposizione si pone, quindi, nel solco di tale orientamento, riconoscendo che la risoluzione verrebbe a travolgere le forniture per le quali si è verificato l’inadempimento, lasciando invece impregiudicate quelle per le quali il cessionario ha regolarmente adempiuto all’obbligo di pagamento del prezzo.
Nello stesso si pone la sentenza n. 12468/2019 in commento, secondo cui, “in un caso, come quello in esame, in cui soltanto una delle due parti, ossia il prestatore, abbia eseguito la propria prestazione (o comunque si siano determinati i presupposti per l’imponibilità di essa) è possibile, a fronte dell’inadempimento dell’altra, esercitare la facoltà di rettifica, mediante registrazione della variazione”.
È, questa, secondo la Suprema Corte, “l’unica opzione idonea a dare senso alla norma: la diversa soluzione prospettata dall’avvocatura dello Stato, secondo cui la disposizione si limiterebbe a disciplinare il caso del reciproco adempimento, senza alcun effetto per l’ipotesi dell’inadempimento di una parte sola, renderebbe la novella del tutto inutile, perché ovvia (…)”.