Vendita “fittizia” dell’immobile e azione revocatoria di Equitalia
di Cristoforo FlorioNon di rado capita di imbattersi nell’ipotesi del contribuente che, presentando una rilevante situazione debitoria nei confronti di Equitalia, provvede a spossessarsi “fittiziamente” del bene immobile (spesso, l’unico) di cui è proprietario. L’attività di riscossione coattiva risulta in questi casi improduttiva in quanto il concessionario, esaminato il profilo reddituale e patrimoniale del contribuente moroso, rileva che lo stesso ha sottratto i propri beni alla garanzia generica prevista dall’art. 2740 Cod. Civ. Peraltro, l’atto dispositivo viene spesso posto in essere già prima della notifica della cartella di pagamento, pur non essendo infrequenti i casi in cui la sottrazione del bene avviene nell’arco di tempo previsto dall’art. 25, comma 2, del D.P.R. n. 602/1973 per il pagamento delle somme dovute.
Al fine di rendere maggiormente efficace l’azione di recupero del credito tributario, la L. n. 311/2004 (cd. “legge Finanziaria 2005”) ha stabilito che il concessionario della riscossione tributaria, oltre a poter procedere nei confronti del contribuente con l’espropriazione forzata per il recupero delle somme iscritte a ruolo, può “(…) promuovere azioni cautelari e conservative, nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore (…)” (art. 49, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973).
L’intervento della citata Finanziaria si era reso necessario in conseguenza del principio vigente nel nostro ordinamento tributario relativamente al procedimento esecutivo della riscossione dei tributi, che prevede una separazione netta tra titolarità del credito e titolarità dell’azione esecutiva. In altri termini, il titolare del credito sottostante la cartella di pagamento è l’ente pubblico che ha provveduto alla formazione del ruolo e non l’agente incaricato della riscossione finale. Pertanto, in mancanza dell’attribuzione di specifici poteri da parte di una norma di legge, le azioni cautelari e conservative del credito sarebbero spettate solo ed esclusivamente al creditore effettivo, non essendo prevista alcuna possibilità per l’ente di riscossione di porre in essere azioni “preventive” per il recupero di un credito non proprio.
Pertanto, alla luce della normativa oggi vigente nonché degli strumenti messi a disposizione di Equitalia, l’espediente della vendita immobiliare “fittizia” rischia di rivelarsi un tentativo maldestro e ingenuo di sottrarsi all’obbligo di pagamento delle cartelle esattoriali, oltre che estremamente pericoloso, stante il sistema sanzionatorio penale potenzialmente applicabile a tale fattispecie (art. 11, D.Lgs. n. 74/2000).
Prendiamo spunto per la nostra analisi dalla sentenza del Tribunale di Padova n. 1253/3/2013. Benché non più recentissima, la predetta pronuncia è tutt’oggi assolutamente attuale e fornisce l’occasione per sviluppare approfondimenti su un tema particolarmente delicato.
Nel caso esaminato dai giudici patavini, Equitalia conveniva in giudizio marito e moglie, al fine di sentir dichiarare inefficace nei suoi confronti, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2901 Cod. Civ., l’atto di compravendita immobiliare, a mezzo del quale la signora vendeva al consorte la piena proprietà del suo unico immobile di proprietà. La proposizione dell’azione revocatoria ordinaria di cui al citato art. 2901 si fondava – nel caso di specie – su un duplice presupposto: (a) la parte venditrice dell’immobile era debitrice nei confronti dell’agente della riscossione di due cartelle di pagamento (per un importo complessivo pari a circa euro 237.000), entrambe scadute e insolute al momento dell’atto definitivo di trasferimento dell’immobile; (b) l’immobile ceduto in favore del marito era l’unico bene patrimoniale di proprietà del cedente.
Malgrado le doglianze dei convenuti, il giudice dichiarava l’inefficacia – nei confronti del creditore – dell’atto di compravendita immobiliare in questione, condannando inoltre i coniugi alla rifusione delle spese di lite in favore della parte attrice.
Con riferimento alla tipologia di azione di recupero intrapresa da Equitalia vale la pena riepilogare i presupposti sui cui essa si fonda.
La revocatoria ordinaria (cd. actio pauliana) può essere esperita quando: a) esiste un valido rapporto di credito tra il creditore agente in revocatoria ed il debitore disponente del bene immobile, b) vi è un danno subito dal creditore, sotto forma di lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore dell’atto traslativo (cd. eventus damni) e c) vi è la consapevolezza da parte del debitore, nonché da parte del soggetto terzo, del pregiudizio arrecato dall’atto di disposizione alle ragioni del creditore del suo dante causa (cd. consilium fraudis).
Traslando tali concetti generali al caso pratico preso a riferimento, il valido rapporto di credito veniva ritenuto sussistente alla luce della presenza delle cartelle di pagamento scadute e ritualmente notificate al contribuente ai sensi dell’art. 26, comma 4, del D.P.R. n. 602/1973. L’eventus damni veniva invece individuato nello spossessamento, da parte del debitore, dell’unico bene immobile da questi detenuto, rendendo con ciò maggiormente difficile e incerta l’esazione del credito, stante la maggiore volatilità del bene denaro rispetto al bene immobile. Infatti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (v. per tutte Cass. n. 5972/2005 e Cass. n. 1896/2012), basta – affinché vi sia danno rilevante ai fini dell’azione pauliana – che l’atto di disposizione posto in essere dal debitore determini e/o, anche semplicemente, aggravi il pericolo dell’incapienza dei beni di quest’ultimo, rendendo maggiormente difficile il recupero del quantum dovuto. Giova peraltro rilevare che rientrano negli atti potenzialmente lesivi non solo le vendite “fittizie” ma anche, a titolo esemplificativo e non esaustivo, le costituzioni di fondi patrimoniali, i frazionamenti delle disponibilità liquide o le operazioni societarie (cessioni di aziende, conferimenti di immobili e scissioni societarie) quando sia dimostrato che l’utilizzo di tali strumenti (di per sé legittimi) sia stato posto in essere con la specifica intenzione di ostacolare la riscossione coattiva delle imposte.
Infine, nel caso di specie l’atto di compravendita oggetto di revocatoria risultava perfezionato in epoca posteriore alla notifica delle cartelle di pagamento e successivamente al decorso del termine dei 60 giorni, durante il quale il contribuente non avevo proposto alcuna impugnazione né proceduto ad alcuna istanza amministrativa e/o pagamento del quantum richiesto. Ciò influiva, inevitabilmente, sull’onere della prova; a mente dell’art. 2901, n. 1, Cod. Civ., infatti, solo nel caso in cui l’atto di disposizione sia anteriore al sorgere del credito spetta al creditore fornire la prova che l’atto fosse dolosamente preordinato dal debitore al fine di spogliarsi del patrimonio in vista della nascita del rapporto obbligatorio; diversamente e come accadeva nel caso in analisi, quando la vendita è successiva alla nascita del credito, basta la semplice conoscenza da parte del debitore del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore per integrare il presupposto di esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria.
Da ultimo, è indubbio che l’esistenza di un rapporto coniugale tra acquirente e venditore abbia aggravato irrimediabilmente la posizione difensiva del contribuente, in quanto tale circostanza conferma – in re ipsa – la consapevolezza del debitore (moglie) e del terzo (marito) di arrecare un pregiudizio alle ragioni del creditore. Anche con riguardo al ruolo del terzo, infatti, l’art. 2901, n. 2, dispone che, nel caso di atti a titolo oneroso, è sufficiente la mera consapevolezza del terzo di arrecare un pregiudizio al creditore. Solo nell’ipotesi di atto anteriore al sorgere del credito occorrerà provare la dolosa preordinazione da parte del terzo stesso.
Per completezza, si evidenzia che – in base a quanto disposto dall’art. 2902 Cod. Civ. – “(…) il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere, nei confronti dei terzi acquirenti, le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato. Il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall’esercizio dell’azione revocatoria, non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell’atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto (…)”. L’inefficacia dell’atto impugnato, conseguente all’utile esperimento della revocatoria, gioverà pertanto solo ad Equitalia, non comportando alcun mutamento nell’ambito della titolarità dei diritti trasferiti con il medesimo atto dispositivo, che, al contrario, continua a conservare la propria validità sostanziale sia inter partes, sia nei confronti dei terzi. In sostanza, il creditore vittorioso in revocatoria sarà legittimato all’esercizio delle azioni necessarie per il soddisfacimento del proprio credito, come se il bene di cui si è disposto facesse ancora parte del patrimonio del debitore.