23 Febbraio 2015

Vendite antieconomiche, se poche stop all’induttivo

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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L’ordinanza n. 2778 depositata il 12.02.2015 consente alla Corte di Cassazione di giungere ad una importante conclusione circa il ricorso all’accertamento induttivo in presenza di presunti comportamenti antieconomici da parte dell’imprenditore. È noto che l’arma dell’antieconomicità viene sempre più utilizzata dall’Amministrazione finanziaria per attaccare anche i contribuenti che presentano dati contabili formalmente corretti, ma risultati ritenuti “sospetti”. Trattasi di un elemento probatorio derivato sia dalla irrazionalità delle scelte aziendali valutate nel complesso, sia eventualmente dall’irrazionalità dell’unico negozio giuridico rapportato ad altri aventi le medesime caratteristiche. Il ricorso all’antieconomicità è ormai codificato e ritenuto valido da vastissima e ripetuta giurisprudenza della Corte di Cassazione. È evidente che i riscontri che devono essere effettuati in sede di accertamento non possono essere superficiali e limitarsi a pochi parametri numerici, dovendo invece raggiungere un grado di attendibilità necessario per il convincimento dell’organo giudicante. Se ciò avviene, però, per il contribuente diventa arduo il percorso difensivo, essendo soprattutto del tutto inutile invocare la correttezza formale dei dati contabili.

Il caso affrontato dai supremi giudici è invero frequente soprattutto nel contesto degli accertamenti nei confronti degli operatori del comparto immobiliare. Ad una società sono stati contestati dei maggiori imponibili sulla base del raffronto di alcune vendite in rapporto a quelle complessivamente effettuate, laddove sono state riscontrate presunte anomalie rappresentate sia da vendite a prezzi inferiori agli altri praticati per gli immobili similari, sia dalla contrazione, da parte della clientela, di mutui di entità superiore all’importo necessario per l’acquisto.

Quel che a prima vista poteva apparire come un’idonea costruzione dell’accertamento e della relativa legittimità del metodo induttivo adottato, è stato cassato dall’organo giudicante, sulla base soprattutto della constatazione che in rapporto alla generalità delle operazioni effettuate le presunte anomalie erano davvero poche. Infatti, mentre solo in una circostanza, su dieci analizzate, l’importo del mutuo contratto dal cliente è risultato superiore al prezzo di vendita (nelle restanti vendite, invece, non si è mai registrato tale disallineamento), relativamente alle presunte vendite antieconomiche le stesse si sono verificate in sole due ipotesi. La suprema Corte ha pertanto contestato il modus operandi, in considerazione anche del fatto che le poche evenienze ritenute anomale non sono state nemmeno vagliate in rapporto alle circostanze di merito che hanno condotto ai prezzi ridotti praticati dal venditore. Tale analisi specifica dovrà dunque essere nuovamente effettuata dal giudice della Commissione Tributaria Regionale, il quale sarà chiamato a valutare le reali motivazioni di vendita delle poche casistiche in cui il comportamento aziendale appare antieconomico.

Al riguardo, appare utile rammentare che le motivazioni di vendita a prezzi contenuti possono essere le più varie possibili, dalle condizioni dell’immobile oggetto di vendita, ai rapporti intercorrenti tra venditore e acquirente (si pensi alla vendita effettuata a favore del notaio solitamente rogante per la società, il quale potrebbe spuntare prezzi più convenienti), senza dimenticare le esigenze oggettive della società, magari alla ricerca nel periodo di vendita di maggiore liquidità temporanea. Così come idonee spiegazioni possono essere collegate anche al mutuo di importo maggiore rispetto al prezzo di acquisto: ad esempio, l’acquirente potrebbe aver avuto interesse ad ottenere importi maggiori per fronteggiare il pagamento delle imposte collegate all’acquisto o di altre necessità (si pensi al mobilio).

Giunge dunque una posizione sicuramente interessante sul piano giurisprudenziale, che può essere utilmente messa in rapporto con la sentenza della medesima Corte di Cassazione n. 457 depositata in cancelleria in data 13.01.2014, che illustra invece proprio il caso classico della contestazione vincente di antieconomicità di un singolo atto. In tale ipotesi le contestazioni sono state mosse sulla base del raffronto del prezzo di vendita, non solo con le stime OMI, ma anche con ulteriori elementi quali la sommatoria della caparra, degli acconti vari e del mutuo contratto dagli acquirenti, oltre che in forza del riscontro di una media di ricarico davvero esigua e antieconomica: se le anomalie sono numerose è evidente che la ricostruzione induttiva è legittimamente effettuata.

La morale è pertanto ben delineabile: è necessario “blindare”, nel caso del singolo negozio, le motivazioni che hanno condotto ad un determinato prezzo di vendita. Nell’ipotesi dell’immobile, prima della vendita ed in tempi non sospetti, sarà consigliabile effettuare una perizia sulle condizioni e caratteristiche dello stesso e del luogo in cui trovasi, sulle particolari difficoltà e situazioni di mercato, oltre che corroborare la scelta con ulteriori documenti, attestanti le complessive valutazioni imprenditoriali svolte. In relazione al mutuo contratto dall’acquirente sarà magari opportuno verificarne l’entità e farsi rilasciare eventualmente una dichiarazione sostitutiva con cui proprio l’acquirente afferma che il maggior importo ottenuto è in realtà destinato ad utilizzi ulteriori rispetto all’acquisto. Se poi tali casistiche sono anche contenute in relazione alle vendite effettuate, la linea difensiva sarà inevitabilmente solida e in grado di reggere la valutazione del giudice.

 

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