Verifica fiscale in tema di transfer price e onere della prova
di Marco BargagliCome noto, le imprese ad ampio respiro internazionale sono sempre più soggette a mirati controlli sui prezzi di trasferimento praticati con le imprese controllate estere, al fine di valutare la congruità dei valori di acquisto e di vendita, di beni e servizi, tra imprese consociate.
Nella prassi operativa, con l’espressione transfer pricing, viene normalmente identificata la pratica adottata all’interno di un gruppo di imprese, attraverso la quale si realizza un trasferimento di quote di reddito tra consociate mediante l’effettuazione di cessioni di beni o prestazioni di servizi ad un valore diverso da quello che sarebbe stato pattuito tra entità indipendenti.
Nello specifico il transfer pricing può essere diretto anche a sviluppare le politiche del singolo Gruppo multinazionale per fini di carattere strettamente economico, nella particolare ipotesi in cui un trasferimento di beni a valori più bassi rispetto a quelli normalmente applicati avvenga al solo scopo di consentire al cessionario/consociato di conquistare fette di mercato, attraverso la successiva vendita di prodotti a prezzi altamente competitivi (cfr. circolare n. 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume III – parte VI “Fiscalità internazionale e metodologie di controllo”, pag. 97 e ss.).
A livello domestico, l’articolo 110, comma 7, Tuir traccia la normativa sostanziale di riferimento in ambito transfer pricing, stabilendo che: “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili se ne deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”.
Per determinare la congruità dei prezzi di trasferimento infragruppo a livello internazionale, occorre riferirsi al principio cardine su cui si basa la corretta determinazione dei prezzi di trasferimento conosciuto tra gli addetti ai lavori come “principio di libera concorrenza” (c.d. arm’s length principle), sancito dall’articolo 9, paragrafo 1, del modello Ocse di convenzione, in base al quale il prezzo stabilito nelle transazioni commerciali intercorse tra imprese associate deve corrispondere al prezzo che sarebbe stato convenuto tra imprese indipendenti per transazioni identiche o similari sul libero mercato.
Nello specifico, qualora nelle relazioni commerciali vengano pattuite condizioni tra due imprese associate diverse da quelle che sarebbero applicate tra imprese indipendenti, gli utili che in mancanza di tali condizioni speciali sarebbero stati realizzati da una delle imprese, ma che a causa di dette condizioni non lo sono stati, potranno essere inclusi negli utili della medesima impresa e tassati di conseguenza.
Per stessa ammissione delle “OECD Transfer Pricing Guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrations” il tema del transfer pricing non è una scienza esatta, ma richiede un attento giudizio sia da parte dell’Amministrazione fiscale che del contribuente.
Trattasi, pertanto, di un tema molto complesso che investe la generalità delle imprese multinazionali e richiede un’attenta analisi anche da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria sui quali, normalmente, grava l’onere della prova di dimostrare la non congruità dei prezzi di trasferimento infragruppo.
Sullo specifico punto, la CTR Lombardia, con la sentenza n. 2229/15/21 del 14 giugno 2021, ha tracciato importanti principi di diritto sul tema dell’onere della prova tra Fisco e contribuente.
Il giudice di primo grado ha affermato che in materia di transfer pricing l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare l’esistenza di transazioni tra imprese collegate ad un prezzo inferiore da quello normale, non dovendo anche dimostrare la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale dell’operazione posta in essere.
Di contro, spetta al contribuente provare che la transazione sia avvenuta in conformità ai valori di mercato normali.
Nel corso del giudizio di merito è infatti emerso che:
- la percentuale di ricarico costituisce uno degli elementi indiziari della necessità di individuare il valore normale di mercato dei beni ceduti;
- l’Amministrazione Finanziaria avrebbe assolto l’onere su di essa incombente, al contrario del contribuente, evidenziando elementi sufficienti a mettere in discussione la rispondenza delle operazioni contestate ai valori di mercato normali, con particolare riferimento al modestissimo ricarico applicato alle transazioni economico e commerciali.
Il giudice di appello ha confermato le argomentazioni espresse dal giudice di prime cure, accogliendo la tesi dell’Amministrazione finanziaria e respingendo il ricorso del contribuente.
Sul punto, è stato richiamato il costante orientamento espresso in apicibus da parte della giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multis, Corte di cassazione, sentenza n. 11837 del 18.06.2020, Corte di cassazione sentenza n. 898 del 16.01.2019, Corte di cassazione, sentenza n. 16948 del 25.06.2019), sulla base del quale la normativa sui prezzi di trasferimento non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è invece finalizzata alla repressione del fenomeno economico del “transfer pricing”, ossia lo spostamento di base imponibile fiscale (i.e. travaso di utili), che si realizza a seguito di operazioni avvenute tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti.
In definitiva:
- la prova gravante sull’Amministrazione finanziaria riguarda non il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l’esistenza di transazioni, avvenute tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale;
- incombe sul contribuente, secondo le regole ordinarie di vicinanza della prova ex articolo 2697 cod. civ., ed in materia di deduzioni fiscali, l’onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali.