Verifica presso lo studio: il titolare non deve essere presente
di Arianna SemeraroSe l’accesso presso lo studio del professionista ha ad oggetto la verifica fiscale di uno dei clienti dello stesso, questa può avvenire anche quando il professionista non è presente in studio.
L’articolo 52, comma 1, D.P.R. 600/1973 secondo cui: “In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti o professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato” è riferito esclusivamente al caso in cui la verifica fiscale abbia ad oggetto il titolare dello studio medesimo e non già un suo cliente.
Questo il principio di diritto enunciato dalla Cassazione con ordinanza n. 9515/2023 depositata il 6 aprile u.s..
La pronuncia in commento trae origine da una verifica fiscale condotta nei confronti di un contribuente le cui scritture contabili erano depositate presso lo studio del commercialista delegato. La Guardia di Finanza effettuava l’accesso presso lo studio del professionista incaricato e riceveva la documentazione richiesta da una collaboratrice del titolare dello studio stante l’assenza di questo in loco.
Il contribuente impugnava l’avviso di accertamento conseguentemente emanato contestando l’illegittimità dello stesso altresì per essere stato il risultato di un accesso illegittimo in quanto contrario a quanto disposto dall’articolo 52 cit..
Entrambi i gradi di merito accoglievano il ricorso proposto da parte privata e consideravano illegittimo l’accesso della Guardia di Finanzia presso lo studio del professionista incaricato alla tenuta delle scritture contabili del contribuente, posto che l’acquisizione della documentazione fosse derivata per il tramite di una collaboratrice del commercialista il quale si trovava fuori sede.
L’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza ritenendo la decisione dei giudici di merito sul punto infondata.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul tema, dichiara fondata la doglianza dell’Ufficio e ribadisce la legittimità dell’accesso avvenuto nelle modalità sopra descritte.
La Corte di Cassazione sottolinea come la disciplina disposta dall’articolo 52 cit. secondo cui, in caso di accesso presso lo studio del professionista, è necessaria la presenza dello stesso, sottende alla necessità di garantire e assicurare la riservatezza dei dati dei clienti del professionista, relativamente ai quali opera il segreto professionale. Ne consegue che tale condizione è funzionale a evitare che, nell’ambito dell’accertamento, possano emergere notizie riservate di clienti che nulla hanno a che vedere con la verifica fiscale in corso.
In altre parole, secondo la Corte “le norme in questione si preoccupano di tutelare la sfera di riservatezza dei clienti del professionista quando quest’ultimo sia direttamente oggetto delle indagini tributarie, rispetto alle quali i suoi assistiti siano meramente terzi, le cui esigenze di protezione sono limitate all’occasionale rischio di diffusione di notizie attinenti la loro sfera personale”. La presenza del professionista è quindi necessaria, per gli Ermellini, solo nel caso in cui la verifica riguardi la posizione fiscale dello stesso ed è diretta a garantire che questi possa eccepire il segreto professionale al fine di evitare che gli accertatori possano esaminare documenti coperti dal segreto, per la disamina dei quali è necessaria una specifica autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
La pronuncia in oggetto si inserisce all’interno di un tema, quale quello della verifica fiscale, che rappresenta una delle attività ispettive che più incidono sulle libertà individuali del privato, sicché sia il legislatore tributario che i giudici sono ben consapevoli che, in ossequio alle norme costituzionali che le tutelano, devono sempre essere previste e rispettate una serie di garanzie a tutela del contribuente, al fine di evitare che l’attività ispettiva incida in maniera illegittima nella sfera individuale di parte privata finanche arrivando a restringere e violare le libertà fondamentali costituzionali.
Tuttavia, la motivazione degli Ermellini ha inteso ribadire come la pronuncia in esame risulti conforme a tale dettame posto che, così interpretata, la disposizione in esame realizza un contemperamento tra le esigenze di tutela della riservatezza non del professionista, ma dei clienti di quest’ultimo, estranei alla verifica fiscale, e la necessità dell’indagine dell’Amministrazione finanziaria nei confronti del professionista-contribuente.
Sulla scorta di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ribalta le decisioni dei giudici merito e afferma il seguente principio di diritto: “In tema di accessi, ispezioni e verifiche, ai fini degli accertamenti sia in materia di Iva che di imposte dirette, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, secondo cui in ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti e professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato, disciplinano la fattispecie in cui il professionista sia lo stesso contribuente oggetto delle indagini tributarie, ma non anche quelle in cui egli sia il depositario delle scritture contabili di un diverso soggetto contribuente sottoposto a controllo fiscale”.