29 Agosto 2016

Versamenti e finanziamenti infruttiferi: attenzione al transfer price

di Fabio Landuzzi
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Una recente sentenza della Corte di Cassazione (la n. 13387 del 15 gennaio 2016 e depositata il 30 giugno 2016) ha affrontato una fattispecie piuttosto diffusa e dibattuta nell’ambito delle operazioni infragruppo, ovvero quella dei finanziamenti infruttiferi di interessi concessi da una controllante italiana ad una controllata estera. Ma la particolare attenzione che questo arresto giurisprudenziale ha suscitato va al di là del caso tipico del finanziamento infruttifero che, come detto, ha rappresentato e continua a rappresentare una ragione di innesco di contenzioso tributario in ambito nazionale e internazionale. Nel caso di specie, per quanto è dato trarre dalla lettura della sentenza citata, i fondi erogati dalla controllante italiana alla controllata estera – che, per completezza, era una società di diritto portoghese ma con sede nel territorio a fiscalità privilegiata della Regione autonoma di Madeira – erano stati qualificati come “Versamenti in conto futuro aumento di capitale, perciò non come finanziamenti in senso stretto.

L’Ufficio delle entrate riteneva invece che tale provvista, utilizzata dalla controllata estera per effettuare investimenti finanziari, costituisse un prestito a titolo oneroso a cui pertanto risultava applicabile la disciplina sui prezzi di trasferimento con la conseguenza che, a fronte dell’assenza di un interesse attivo applicato alle somme erogate, contestava l’applicazione di un tasso di interesse di mercato e quindi l’omesso assoggettamento ad imposizione di interessi attivi.

Nei primi due gradi di giudizio, la tesi dell’Ufficio delle entrate era stata respinta, ma la Corte di Cassazione assume una posizione differente con l’effetto di accogliere i motivi esposti dall’Amministrazione finanziaria. Taluni passaggi della parte motiva della sentenza in commento suscitano tuttavia alcune riflessioni.

In primo luogo, e questo è un passaggio chiave di tutta la ricostruzione compiuta dalla Suprema Corte, la dazione delle somme viene ricondotta alla fattispecie del mutuo, escludendo così la qualificazione compiuta dalla controllante che, come detto, era di versamento in conto futuro aumento capitale.

Da qui, i giudici della Cassazione deducono che al caso di specie non possa non applicarsi la disciplina vigente in materia di transfer pricing con l’effetto che, anziché applicare un tasso zero – che sarebbe il caso del mutuo gratuito – all’operazione deve essere applicato un tasso di mercato a cui avrebbero dovuto maturare gli interessi attivi per la controllante quale remunerazione del capitale dato a mutuo.

Vi è poi un secondo passaggio contenuto nella sentenza in commento che merita attenzione. Dapprima, l’organo giudicante sembra sposare appieno la tesi della natura antielusiva della disciplina sui prezzi di trasferimento: infatti, espressamente si legge “La finalità antelusiva sottesa dalla norma (…) finalizzata ad impedire trasferimenti surrettizi di ricchezza in favore di una società infragruppo estera, con sottrazione di materia imponibile alla tassazione nazionale (…)”. In questo senso, risulta quindi confermata la tesi che già ha trovato recente affermazione presso la Suprema Corte in altri precedenti arresti (si veda, Cassazione n. 9709/2015, 15642/2015 e 6656/2016).

Poi, in un successivo paragrafo, la sentenza sembra invece apparentemente virare verso un approccio diverso laddove, argomentando riguardo alla ripartizione dell’onere della prova fra Amministrazione e contribuente, afferma quanto segue. In prima battuta, che l’onere probatorio a carico dell’Amministrazione si esaurisce nel fornire “la prova dell’esistenza della operazione infragruppo e della pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore normale”, mentre il contribuente deve fornire la prova che “il corrispettivo convenuto (…) corrisponde ai valori economici che il mercato attribuisce a queste operazioni”. Prosegue inoltre la Cassazione affermando che “non è invece necessario che l’Amministrazione finanziaria fornisca ulteriormente la prova che l’operazione infragruppo sia priva di una valida giustificazione economica ed abbia comportato un concreto risparmio di imposta”.

Una sentenza, quindi, da leggere con attenzione che merita opportune riflessioni, e che probabilmente dovrebbe essere collocata nel particolare contesto della specifica operazione oggetto di accertamento, piuttosto che trarne in modo immediato delle indicazioni di carattere generale.

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Il transfer pricing nei rapporti infragruppo: gestione operativa e strategie di difesa