Versamenti soci per aumenti di capitale “targati”
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariNella sentenza 12 marzo 2015, n. 5739, il Tribunale di Roma ha affrontato una questione attinente al versamento eseguito da un socio in conto futuro aumento del capitale sociale, successivamente non deliberato dalla società. In tale ipotesi, si conclude nella sentenza, il versamento eseguito dal socio deve essere restituito allo stesso poiché il suo “perfezionamento” è condizionato all’avverarsi del successivo aumento del capitale sociale. Nel caso affrontato dal Tribunale capitolino si è disquisito circa la natura e la destinazione della riserva formatasi a seguito del versamento di un socio vincolato al futuro aumento del capitale sociale. Nella prassi operativa delle società, soprattutto a ristretta base sociale, accade di frequente che i soci effettuino dei versamenti a favore della società stessa, la cui natura è differente in relazione al vincolo che sugli stessi si realizza.
Il primo aspetto riguarda l’obbligo o meno di restituzione del versamento eseguito, e la risposta non è affermativa poiché tale diritto vi sarebbe se il versamento fosse avvenuto a titolo di finanziamento e come tale appostato tra i debiti della società. Diversamente, laddove il versamento avvenga senza alcun diritto alla restituzione, lo stesso costituisce un incremento patrimoniale della società da contabilizzare tra le riserve di patrimonio netto. In tale ambito rientrano i versamenti eseguiti in “conto futuro aumento del capitale sociale”, che secondo i giudici romani costituiscono una riserva di capitale (e non di utili) soggetta alla stessa disciplina della riserva da sovrapprezzo, sia pure “targata” in capo al socio che ha eseguito il versamento. E tale ultimo aspetto costituisce senza dubbio una questione di particolare interesse che è stata evidenziata nella citata sentenza del Tribunale di Roma n. 5739/2015. Più in dettaglio, i giudici di merito, richiamando la giurisprudenza di legittimità (Cassazione n. 2314/1996), osservano che pur in presenza di un versamento eseguito dal socio a titolo di futuro aumento del capitale sociale, lo stesso potrebbe vantare il diritto alla restituzione prima dello scioglimento della società, cui corrisponde un obbligo della società di procedere allo storno delle somme ricevute dal socio, ed iscritte in origine nel patrimonio netto, e relativa allocazione tra i debiti della società. Tale circostanza, si legge nella sentenza, “accade allorquando emerga, in termini inequivoci, la volontà concorde degli interessati (soci eroganti e società) di ancorare l’apporto finanziario ad una specifica e già programmata operazione di aumento del capitale sociale”. Facendo proprio l’indirizzo espresso dalla richiamata sentenza della Cassazione, i giudici romani ritengono necessaria la distinzione, nell’ambito dei versamenti eseguiti dai soci, tra quelli generici effettuati in conto capitale e quelli che si riferiscono ad un futuro e ben determinato aumento di capitale. Mentre per i primi non vi sono particolari dubbi sul fatto che la società possa disporne liberamente senza che i soci possano vantare alcun diritto alla restituzione fino al momento in cui la società sarà liquidata, la questione è senza dubbio più delicata per i versamenti effettuati nella seconda fattispecie.
Una prima ipotesi riguarda la sussistenza di un chiaro collegamento causale tra il versamento eseguito dal socio ed il futuro aumento del capitale sociale; nel qual caso si ritiene che le parti abbiano voluto condizionare risolutivamente l’acquisizione patrimoniale della società alla futura delibera di aumento del capitale sociale. All’atto del versamento da parte del socio la società alloca provvisoriamente l’importo tra le riserve di patrimonio netto, e successivamente quale capitale sociale all’atto della delibera effettiva di aumento dello stesso. Al contrario, laddove l’aumento del capitale sociale non dovesse avvenire, il socio ha il diritto alla restituzione del versamento eseguito, essendo venuta meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale da lui eseguita.
Una seconda ipotesi riguarda, invece, la circostanza in cui la previsione del futuro aumento del capitale sociale sia solo generica, senza indicazione di alcuna data o almeno del termine entro cui eseguire l’aumento del capitale sociale. In tal caso, evidenziano i giudici, s’impone la scelta tra due soluzioni alternative: ritenere che le somme, in base alla volontà delle parti, rimangano acquisite nella disponibilità della società, ovvero ricorrere in via analogica all’articolo 1183 cod. civ., ammettendo che il socio possa chiedere al giudice la fissazione di un termine entro cui la società sia tenuta a decidere in ordine all’aumento del capitale sociale, in modo tale da provocare l’avveramento o il mancato avveramento della condizione cui il conferimento è risolutivamente condizionato.