31 Gennaio 2014

Vi presento sua maestà l’Amarone 2010

di Chicco Rossi
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Il 25 gennaio 2014 nella splendida ex caserma austriaca che si affaccia sulla Bra, il vecchio salotto di Verona su cui si affaccia il lirico anfiteatro di origine romana, è stato presentato al mondo la prima annata di Amarone che può fregiarsi della Docg.

L’occasione sarebbe propizia per fare una passeggiata in quella che è la città di Euroconference, ma l’occasione è fin tropo ghiotta e quindi meglio fermarsi alla Gran Guardia e poi limitarsi a fare una breve puntata in uno dei tanti luoghi gourmant della piccola Roma.

L’evento, che si svolge in una due giorni completamente dedicata a quello che insieme a Barolo e Brunello può, senza timor di smentita, essere considerato come uno dei grandi “vecchi” italiani viene, come anticipato, ospitato in quella che fu la sede dell’esercito austriaco durante la I guerra di Indipendenza e che deve la sua costruzione alla volontà del fu Mocenigo che ne fece richiesta formale all’allora Doge di Venezia (a proposito, preparatevi che per il Carnevale è tappa d’obbligo la città lagunare) Donà e che necessitò, vista la mancanza di fondi, di ben 244 anni (la richiesta avvenne nel 1609 e il termine dei lavori si ebbe sotto il dominio austriaco nel 1853). Probabilmente un record destinato a essere superato dalla chimera della Salerno – Reggio Calabria (per ogni commento si rimanda a I lupi dell’Irpinia).

La sua destinazione a caserma trasuda dal suo stesso carattere austero e imponente.

Ma oggetto del nostro viaggio è l’Amarone, il cui nome deriva da amaro, un modo semplice per distinguerlo da quel nettare degli Angeli, sempre prodotto in quella valle baciata dalla natura che è la Valpolicella, il Recioto.

Il grande rosso viene prodotto con uve corvina veronese in percentuale variabile tra il 40 e il 70%, Rondinella (20-40%), e Molinara (5-25%).

Si narra che il nome sia stato dato da Adelino Lucchese, capo cantina della Cantina sociale della Valpolicella che spillando il Recioto da una botte ritrovata, esclamò “Questo non è un Amaro, è un Amarone”.

La produzione richiede pazienza e amore, in quanto le uve selezionate e provenienti dai grappoli spargoli, con gli acini non troppo vicini tra loro, in modo che lascino circolare l’aria. Le uve così scelte vengono distribuite in un unico strato sui plateaux, cassette di legno, che vengono impilati nei fruttai che sono locali areati.

L’appassimento dura almeno 120 giorni, tempo che varia in ragione della percentuale di acqua contenuta in origine nelle uve. È l’acqua che “evapora” a tutto vantaggio degli zuccheri che rimangono intatti. Agli inizi di febbraio si procede alla pigiatura dell’uva cui segue la lenta fermentazione a bassa temperatura, che può durare anche 50 giorni, in modo tale da permettere agli zuccheri di trasformarsi in alcol. A questo punto si svela il destino del vino, infatti, se il vino finale conserva una bassa presenza di zuccheri sarà Amarone, in caso contrario sarà Recioto.

Descritte le modalità con cui viene prodotto questo grande vino, ricco e generoso, facciamo una breve passeggiata che, dopo aver percorso il Liston ammirando dai vari punti l’anfiteatro tanto caro ai grandi della musica, ci fa imboccare via Mazzini (la via Nuova), la via del lusso che collega la Bra con il vecchio foro romano.

Ma prima di arrivare in Piazza delle Erbe, si svolta a sinistra per andare a fare un aperitivo in una delle tante iniziative gastronomiche di quello che è considerato uno dei grandi chef italiani, quel pluristellato Giancarlo Perbellini da Isola Rizza della tanto famosa Ofella, il “Tapasotto” dove spiluccando qualche tapas o per gli anglofoni appetizer si tira il tempo per arrivare all’appuntamento con il tempio del vino: “La bottega vini” dove ad accoglierci è Stefano, il padrone di casa che vi accompagnerà, non sol nella scelta del cibo, ma anche e soprattutto nel ridurre i tempi di lettura di quella che potrebbe anche definirsi come un’enciclopedia dei vini italiani ma non solo.

Infatti, definire monumentale la lista dei vini è riduttivo per quella che può vantarsi di essere, insieme alla “rinascimentale” Enoteca Pinchiorri, una delle cantine più importanti della penisola.

Dopo aver assaggiato un sorprendente prosciutto di Montagnana (tappa futura di una nostra scampagnata) restiamo estasiati dal connubio che si crea tra il riso prodotto a Isola della Scala e l’Amarone per quello che è un risotto perfetto tirato, come ha insegnato il maestro Gualtiero Marchesi, all’onda.

Di secondo, come resistere al richiamo di polenta e luganeghe, classico insaccato prodotto nel triangolo Lombardia – Trentino – Veneto che si scioglie in bocca?

La scelta questa volta non si svela perché si dovrebbe fare torto a troppi produttori, unico suggerimento: almeno una volta nella vita un Quintarelli bisogna degustarlo.

Forza e coraggio e noi diciamo arrivederci a Verona al 6 aprile quando, avendo più tempo, passeggeremo per le vie della romantica città cercando di capire perché “Non esiste mondo fuori delle mura di Verona: non c’è che purgatorio, supplizio, l’inferno stesso. Essere esiliato di qui, vuol dire essere esiliato dal mondo, e l’esilio dal mondo è la morte: l’esilio è dunque una morte sotto falso nome…”.

Forse perché si fanno grandi vini?