Viaggio enogastronomico dal monte Amiata ai cipressi di Bolgheri
di Chicco RossiIl nostro percorso inizia dalla Toscana e più precisamente partiremo dal monte Amiata, vecchio vulcano ormai spento, situato in quella terra di mezzo tra il Chianti senese e la nobile Maremma grossetana, per arrivare in uno dei luoghi culto dell’enologia italiana, patria adottiva di un certo Giacomo Tachis a cui dobbiamo molto (padre del Tignanello e del Sassicaia, per nominare solo due delle sue creazioni più conosciute).
Il monte Amiata, costellato di laghetti di origine vulcanica, offre paesaggio e scorci di sublime bellezza: infatti, in una giornata serena, è possibile ammirare un panorama monumentale che spazia dal Massiccio del Gran Sasso d’Italia, al monte Terminillo, per arrivare fino agli Appennini liguri, all’Arcipelago toscano, all’Elba e al monte Argentario.
Il Paese forse più conosciuto è Arcidosso, il cui nome, menzionato per la prima volta in un documento del 4 marzo 860, deriva probabilmente dalla fusione di arx e dossum (fortezza e dosso). Prodotto principe del territorio è la castagna che ha ottenuto la denominazione DOP (Denominazione di origine protetta) ed è raccolta nella zona di Castel del Piano, Arcidosso e Santa Fiora. Non può mancare nemmeno l’olio, prodotto con l’olivastra seggianese prodotto sul versante grossetano dell’Amiata, ad un’altezza variabile che oscilla tra i 460 e i 650 mt. L’olio, di verde tendente al dorato, dolce, di sottile profumo, con sapore gradevolmente fruttato, esalta la sua fragranza con le insalate di ortaggi e foglie verdi, legumi, verdura cotta, pietanze a base di pesce.
Non si può non citare il fungo con cui vengono cucinate saporite minestre a cui accompagnare un buon Montecucco sangiovese, prodotto con una percentuale minima di sangiovese pari al 90%, che nel 2011 ha ottenuto la DOCG. Come non assaggiare, prima di lasciare le pendici del vulcano, un piatto di cinta senese, razza suina la cui qualità è tutelata dalla qualifica DOP ottenuta nel 2012.
A questo punto, possiamo salire in auto e prendere la direzione di Bolgheri e Castagneto Carducci, terra famosa per il suo incantato viale di cipressi e ricca di borghi, spiagge selvagge, casate storiche a cui si deve la nascita di vino sublimi che ormai rappresentano un must mondiale.
O forse tutto è dovuto ai “…cipressi che a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar, quasi in corsa giganti giovinetti…ti canteremo noi cipressi i cori che vanno eterni fra la terra e il cielo”, ma forse eterni sono quei supertuscan il cui norme ormai è sinonimo di altissima qualità enologica.
Ecco che allora arriviamo davanti a un filare di cipressi troviamo l’ormai mitologica Tenuta San Guido, che prende il nome da San Guido della Gherardesca vissuto nel XIII secolo.
I personaggi intorno cui tutto ruota sono Federico Tesio e il già citato Giacomo Tachis.
Al primo dobbiamo la lungimiranza e la professionalità nell’allevare purosangue fino ad arrivare al mito del XX secolo: sua maestà Ribot, imbattuto in 16 corse, tra cui il King George VI and Queen Elizabeth Stakes, e l’Arc de Triomphe ben due volte.
Giacomo Tachis, di nascita piemontese (è nato a Poirino, piccolo comune della provincia di Torino) è il creatore di vini superlativi tra i quali si innalza il Sassicaia che, per chi ha avuto la fortuna di degustarlo, si presenta all’esame visivo limpido, con un colore rosso rubino con riflessi granati, consistente. Al naso intenso, complesso, fine, con note fruttate evolute di piccoli frutti rossi e neri maturi e in confettura, frutti di bosco, marasca, visciola e prugna; speziate di vaniglia, cannella, chinotto, tabacco, tostatura, leggero pepe e noce moscata; sentori vegetali di macchia mediterranea e di fieno; eterei di grafite e di eucalipto. In bocca è secco, caldo, abbastanza morbido, fresco, con un tannino ben presente ma levigato dall’affinamento, sapido.
Ma Bolgheri non vuol dire soltanto Sassicaia: che dire del Campo alla sughera, del Sapaio, del Grattamacco, del Guado al Tasso o del monumentale Ornellaia? E poi ancora delle pappardelle al sugo di lepre e quaglie accompagnate dai generosi vini rossi della Maremma.
Per gli amanti dello stile country alla maremmana, d’obbligo è un passaggio nella storica sartoria artigiana “Arte e Moda”, fondata dalla famiglia Morganti ai primi del ‘900 e che, come purtroppo troppo spesso accade, è passata in mano straniera. Tuttavia, resta il fascino di un negozio artigianale dove poter acquistare una giacca maremmana in fustagno.