Videosorveglianza sui luoghi di lavoro
di Ernesto RussoGuido MartinelliTra i rilievi che gli ispettori del lavoro stanno effettuando con sempre maggiore frequenza negli accertamenti a centri sportivi e palestre, ve ne è uno che è stato sin qui sottovalutato ma che ha rilievo penale e che, come tale, coinvolge direttamente e personalmente i legali rappresentanti dei soggetti gestori (ivi comprese associazioni e società sportive dilettantistiche). Si tratta della violazione delle norme in materia di installazione di apparecchiature di videosorveglianza.
E’ bene ricordare che lo Statuto dei Lavoratori (art. 4, L. n. 300/1970) vieta l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive, ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali (è sufficiente la sottoscrizione da parte delle RSA che esprimano la maggioranza del personale). In assenza di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede la Direzione Territoriale del Lavoro, stabilendo eventuali modalità per l’uso di tali impianti.
Anche il Codice della Privacy (art. 114, d.lgs. n. 196/2003) richiama integralmente la disciplina posta dall’art. 4 della L. 300 cit. e, pertanto, si pone quale regolamentazione aggiuntiva rispetto a quella settoriale di limitazione del potere di controllo del datore e impone una lettura integrata dei due sistemi normativi (si veda Provv. Garante Privacy 29 aprile 2004).
Laddove, dunque, si abbia l’intenzione di installare all’interno di un centro sportivo delle telecamere che inquadrino luoghi dove viene abitualmente svolta attività lavorativa da parte di dipendenti dell’azienda, è necessario stipulare un accordo sindacale o ricevere la preventiva autorizzazione all’installazione da parte della DTL. Peraltro è d’obbligo evidenziare che per la Cassazione (sent. n. 1490/86 e 4331/2014) la condotta illecita del datore non è esclusa se le apparecchiature benché installate non siano ancora funzionanti, ma poste per soli fini di deterrenza e se tale controllo sia discontinuo perché installato in locali ove i lavoratori si rechino saltuariamente.
Espletata la procedura prescritta, e prima di installare un impianto di videosorveglianza, il datore di lavoro deve (Provv. Garante Privacy 8 aprile 2010):
- iinformare i lavoratori della presenza delle telecamere con appositi cartelli;
- nominare un incaricato della gestione dei dati videoripresi;
- posizione le telecamere verso le zone a rischio, evitando di collocarle in maniera unidirezionale sui lavoratori impegnati nella loro attività;
- conservare le immagini raccolte solo per un massimo di 24 ore dalla rilevazione (salvo speciali esigenze).
Ove in occasione di una verifica ispettiva venisse riscontrata la violazione delle norme sopra richiamate, la DTL prescriverà (ex art. 15, d.lgs. 124/2004) al contravventore – nel termine di 30 giorni – di stipulare un accordo con le RSA o ottenere autorizzazione dalla DTL competente o, in alternativa, rimuovere l’apparecchiatura. Contestualmente, ai sensi dell’art. 347 c.p.p., verrà inviata comunicazione di reato alla competente Procura della Repubblica. Nell’ipotesi in cui il contravventore eliminasse la violazione nei tempi e con le modalità prescritte sarà ammesso al pagamento in sede amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione che ne determinerà l’estinzione con conseguente richiesta di archiviazione del procedimento penale.
Per l’inosservanza delle disposizioni in materia di apparecchi di controllo (art. 4 e 38, L. 300/70; artt. 114 e 171 d.lgs. 196/2003), a meno che il fatto non costituisca un più grave reato, è prevista l’ammenda da € 154 a € 1.549, oppure l’arresto da 15 giorni ad un anno. Nei casi più gravi le pene sono applicate congiuntamente ed inoltre, qualora la pena dell’ammenda sia inefficace, il giudice può quintuplicarla. Per il mancato rispetto delle prescrizioni in materia di videosorveglianza è prevista anche la sanzione amministrativa da € 30.000 a € 180.000 (art. 162, comma 2 ter d.lgs. 196/2003).
La fattispecie non presenta particolari dubbi interpretativi in presenza di personale alle dipendenze di associazioni e società sportive dilettantistiche. Va detto, invece, che a stretto rigore l’obbligo autorizzativo non sussisterebbe nel caso in cui l’ASD/SSD si avvalesse unicamente di personale retribuito ex art. 67, comma 1, lett. m) TUIR (per esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche o co.co.co. amministrativo-gestionale). La nota difficoltà nell’inquadramento “lavoristico” di tale tipologia di collaboratori unita alla possibilità di una riqualificazione del rapporto in sede di accertamento suggerisce, però, in via prudenziale, di richiedere comunque l’autorizzazione alla DTL in caso di installazione di sistemi di videosorveglianza con possibilità di controllo di aree in cui tali soggetti operano.
Si evidenzia, da ultimo, che nel testo della delega sul lavoro (c.d. “Jobs Act”) attualmente in discussione in Parlamento è prevista la “revisione della disciplina dei controlli a distanza, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore”. Possibili novità in arrivo, dunque.