Volume d’affari agganciato ai corrispettivi per i rivenditori di beni usati
di Marco PeiroloIl rivenditore di beni usati in regime del margine ha diritto di avvalersi del regime di franchigia per le piccole imprese se soddisfa il requisito del volume d’affari previsto dalla legislazione interna, calcolato in base ai corrispettivi delle operazioni effettuate e non al margine, cioè alla differenza tra il prezzo di vendita e il costo di acquisto dei beni.
È la conclusione della Corte di giustizia UE, resa nella causa C-388/18 del 29 luglio 2019, avente per oggetto l’interpretazione dell’articolo 288, comma 1, punto 1), della Direttiva n. 2006/112/CE, secondo cui il volume d’affari cui occorre fare riferimento per l’applicazione del regime di franchigia è costituito dall’importo, al netto dell’Iva, delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, “purché siano soggette a imposizione”.
Tenuto conto che l’articolo 315 della stessa Direttiva dispone che “il margine del soggetto passivo-rivenditore è pari alla differenza tra il prezzo di vendita chiesto dal soggetto passivo-rivenditore per il bene e il prezzo di acquisto”, è sorto il dubbio se il volume d’affari, ai fini dell’applicazione del regime di franchigia, debba essere calcolato in funzione del solo margine del soggetto passivo-rivenditore di beni usati.
Il giudice del rinvio ha osservato che l’espressione “purché siano soggette a imposizione”, contenuta nell’articolo 288 Direttiva 2006/112/CE, può prestarsi ad una duplice interpretazione: da un lato, il concetto di volume d’affari potrebbe essere inteso, per un operatore che applica il regime del margine, in senso restrittivo, cioè limitato al solo margine di profitto realizzato per ciascuna operazione; dall’altro, si potrebbe sostenere che solo le operazioni non soggette ad imposizione siano escluse dal calcolo del volume d’affari rilevante per l’applicazione del regime di franchigia, con la conseguenza che le operazioni soggette al regime del margine, se non esenti da imposta, andrebbero conteggiate per il loro intero importo e non nella misura ridotta corrispondente al margine.
La questione posta al vaglio della Corte è diretta a stabilire se, “nei casi di applicabilità del regime del margine ai sensi degli articoli 311 e seguenti della direttiva [Iva], le disposizioni dell’articolo 288, primo comma, punto 1, della direttiva medesima debbano essere interpretate nel senso che, in caso di cessione di beni a norma dell’articolo 314 della direttiva [Iva], ai fini della quantificazione del volume d’affari rilevante per la tassazione occorra fare riferimento, conformemente al successivo articolo 315, alla differenza tra il prezzo di vendita chiesto e il prezzo di acquisto (margine)”.
Con la sentenza in commento, i giudici dell’Unione propendono per l’impostazione più restrittiva, avvalorata non solo dall’interpretazione letterale del dato normativo, ma anche dalla struttura generale, dalla genesi e della finalità della Direttiva 2006/112/CE.
In merito alla portata dell’articolo 288, comma 1, punto 1), viene osservato che, da un lato, è l’importo totale al netto dell’Iva delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi soggette ad imposizione che costituisce, secondo tale disposizione, il volume d’affari del soggetto passivo, ma che, dall’altro, la locuzione “soggette a imposizione” si collega non al termine “importo”, bensì alle cessioni e alle prestazioni.
Di conseguenza, per concorrere alla formazione del volume d’affari, le cessioni e le prestazioni devono essere soggette a Iva in quanto tali, senza alcuna indicazione in merito alle modalità.
L’interpretazione letterale dell’articolo 288, comma 1, punto 1), Direttiva 2006/112/CE implica, pertanto, “che, non il loro margine di profitto, bensì l’importo totale delle cessioni effettuate dai soggetti passivi-rivenditori costituisca il volume d’affari cui far riferimento ai fini dell’applicabilità del regime speciale delle piccole imprese”.
Tale conclusione è confermata dall’analisi della struttura generale, della genesi e della finalità della Direttiva Iva.
Come osservato dalla Corte, per quanto riguarda la struttura generale, il regime di franchigia e il regime del margine sono due regimi speciali autonomi, indipendenti l’uno dall’altro. In assenza di riferimenti, in ciascuno dei medesimi, agli elementi e alle nozioni dell’altro, il contenuto dei singoli regimi deve essere valutato senza tenere conto del contenuto dell’altro.
Anche la genesi della disciplina Iva conferma che la nozione del margine non può influire sull’interpretazione della nozione di volume d’affari rilevante ai fini del regime di franchigia.
Quest’ultimo è stato istituito dalla VI Direttiva CEE, mentre solo successivamente, al fine di stabilire un regime speciale per i soggetti passivi-rivenditori, è stata adottata la Direttiva 94/5/CE, che completa il sistema comune dell’Iva e modifica la VI Direttiva. Ne discende che le regole relative alla determinazione del volume d’affari per l’applicazione del regime speciale delle piccole imprese, come stabilite dalla VI Direttiva, non possono, in mancanza di un’espressa previsione, considerarsi allineate a quelle relative al regime del margine disciplinato dalla Direttiva 94/5/CE.
Infine, riguardo alla finalità del regime speciale delle piccole imprese, l’obiettivo da esso perseguito non è di rafforzare la competitività delle imprese di grandi dimensioni esercenti la rivendita di beni usati.
Se i corrispettivi che eccedono il margine di profitto non fossero presi in considerazione nel calcolo del volume d’affari, le imprese che realizzano un volume d’affari elevato ma con un margine ridotto potrebbero rientrare nel regime in esame e beneficiare di un vantaggio competitivo ingiustificato.
Dall’analisi esposta, la Corte ha concluso affermando che “l’articolo 288, primo comma, punto 1, della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che esso osta a una disciplina nazionale o a una prassi amministrativa nazionale in virtù della quale il volume d’affari cui far riferimento per l’applicabilità del regime speciale delle piccole imprese a un soggetto passivo rientrante nel regime speciale del margine previsto per i soggetti passivi-rivenditori è calcolato, conformemente all’articolo 315 di tale direttiva, tenendo conto soltanto del margine di profitto realizzato. Detto volume d’affari deve essere calcolato, sulla base di tutti gli importi al netto dell’Iva incassati o da incassare da parte del soggetto passivo-rivenditore, indipendentemente dalle modalità secondo le quali tali importi saranno assoggettati ad imposizione in concreto”.
È il caso di osservare che, nella legislazione italiana, non possono avvalersi del regime forfetario le persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali ai fini Iva o di regimi forfetari di determinazione del reddito. In questo caso, l’incompatibilità con il regime forfetario è in re ipsa, ogniqualvolta il regime speciale Iva o di determinazione dei redditi sia un regime obbligatorio ex lege.
In particolare, come già specificato con circolare AdE 10/E/2016 (par. 2.3) e ribadito dalla circolare AdE 9/E/2019 (§ 2.3.1), non è compatibile con il regime in esame l’attività di rivendita di beni usati, di oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione in regime del margine di cui all’articolo 36 D.L. 41/1995.