Voluntary disclosure: bail-in o bail-out?
di Fabrizio VedanaL’emersione volontaria dei capitali non dichiarati al fisco, siano essi detenuti in Italia (voluntary disclosure internazionale) o all’estero (voluntary disclosure domestica), sta trovando una sua compiuta disciplina normativa ed applicativa con l’emanazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, prima della circolare 10/E e poi con l’adozione di uno schema tipo di waiwer attraverso la cui compilazione il contribuente che aderisce alla procedura di voluntary disclosure internazionale autorizza la banca straniera (per esempio svizzera, monegasca, ecc.) a rilasciare, a richiesta dell’Amministrazione fiscale italiana, dati, documenti ed informazioni sui suoi rapporti bancari e finanziari esteri.
Come già scritto in precedenti occasioni il Governo Italiano, analogamente a quanto già fatto da molti altri Stati europei ed extraeuropei (tra i quali gli USA), intende offrire significativi incentivi, sia sul piano delle sanzioni amministrative che su quello delle sanzioni penali, ai contribuenti italiani che decidono di autodenunciare all’Amministrazione fiscale la detenzione di capitali non dichiarati. In seguito alla mancata conversione in legge del Decreto 4 del gennaio 2014 con il quale erano state introdotte delle prime disposizioni in materia di emersione di capitali illecitamente detenuti all’estero, nello scorso mese di luglio la Commissione Finanze della Camera ha approvato il testo di una nuova proposta di legge recante disposizioni in materia di voluntary disclosure.
Le principali novità contenute nella Legge 186 del dicembre 2014 rispetto al Decreto Legge 4/2014 sono:
- estensione dei meccanismi premianti anche all’emersione delle attività non dichiarate al fisco e mantenute in Italia;
- introduzione di un meccanismo di calcolo delle sanzioni di tipo forfettario per i patrimoni sino a due milioni di euro;
- non punibilità per professionisti e consulenti del contribuente che decide di aderire alla voluntary disclosure;
- maggiori coperture penali per il contribuente che decide di autodenunciarsi;
- introduzione del reato di auto-riciclaggio.
L’iter legislativo che ha portato alla definitiva approvazione della legge 186 non è stato né semplice né veloce: il testo di proposta di legge, elaborato nei mesi di aprile, maggio e giugno dalla Commissione Finanze della Camera dei Depurati, è stato, nel corso dei mesi di luglio ed agosto, sottoposto all’esame delle altre competenti commissioni parlamentari che hanno espresso i loro pareri.
Di significativa importanza il parere espresso dalla Commissione Giustizia che, pur aderendo positivamente al progetto di legge, ha formulato una serie di osservazioni sull’introduzione del nuovo reato di autoriciclaggio.
Nel mese di settembre il testo è quindi nuovamente stato portato all’esame della Commissione Finanze per essere integrato alla luce dei pareri espressi dalle altre Commissioni e quindi approvato definitivamente ed essere quindi portato all’esame dell’aula della Camera dei Deputati prima e del Senato della Repubblica poi.
Va segnalato che sia prima che dopo l’approvazione della legge 186, entrata in vigore l’1 gennaio 2015, forte è stato ed è il pressing mediatico nei confronti di quanti detengono attività, in specie all’estero, non dichiarate al Fisco.
Oltre, infatti, alla manifestazione della volontà da parte di più di sessanta Stati di aderire ai nuovi standard di trasparenza in ambito fiscale (in attuazione anche del cosiddetto Common Reporting Standard), negli ultimi mesi si sono intensificate le prese di posizione anche da parte delle associazioni di categoria delle banche operanti nei Paesi che tradizionalmente hanno dato e danno ospitalità ai risparmi di molti Italiani.
Dopo l’ABBL, associazione bancaria del Granducato di Lussemburgo, anche l’AMAF, associazione bancaria monegasca, ha scritto ai propri associati per informarli dell’entrata in vigore a partire dal primo gennaio 2018 (ma con effetto retroattivo dal 1° gennaio 2015 per taluni reati), della convenzione OCSE relativa alla cooperazione fiscale.
Significativi poi gli accordi che sia la Svizzera che Montecarlo (oltre che il Lussemburgo, il Liechtenstein e San Marino) hanno sottoscritto con l’Italia entro il 2 marzo scorso con l’obiettivo di rendere ancor più “appetibile” la voluntary disclosure e l’approvazione, anche se non ancora in via definitiva, di uno schema di decreto legislativo con il quale lo Stato italiano rinuncia al raddoppio dei termini di accertamento fiscale al verificarsi di determinate condizioni (tra le quali, appunto, la sottoscrizione di specifici accordi con gli Stati esteri nei quali tradizionalmente si trovano le attività oggetto di voluntary disclosure internazionale).
Se a quanto sopra si aggiungono le notizie di stampa che parlano di utilizzabilità della famosa lista Falciani e di altre analoghe iniziative delle autorità giudiziarie e fiscali italiane che hanno interessato personaggi più o meno famosi, il quadro d’insieme che ne esce è di quello della voluntary disclosure come di ultima opportunità offerta dallo Stato a chi non lo è ancora di “mettersi in regola” con il Fisco e non solo.
Non resta quindi che vedere emanati gli ultimi attesi chiarimenti da parte delle competenti Autorità: nell’attesa, quanti si trovano in situazioni interessate dalla Legge 186 (pare non meno di 100 mila persone) dovrebbero cominciare a parlarne con il professionista di fiducia e decidere se, aderendo alla procedura, mantenere le attività presso una banca estera (con la fiduciaria che potrà fungere da sostituto d’imposta) oppure, quando possibile, rimpatriarle in Italia.
Tra i fattori che andranno valutati ci sarà certamente il cosiddetto rischio bail-in ovvero il rischio crisi o fallimento della banca presso la quale il contribuente deciderà di lasciare o trasferire i propri risparmi; non tutte le banche, italiane od estere sono uguali e possono offrire le stesse garanzie di solidità patrimoniale e non tutti gli Stati hanno una analoga legislazione di protezione dei depositi bancari: in alcuni Stati (come l’Italia per esempio) la garanzia è pari a 100 mila euro, in altri Stati tale garanzia è illimitata mentre in altri è di fatto inesistente come dimostrano le recenti crisi che hanno colpito alcune banche di Cipro e di Austria.