Voluntary “fonte” per i futuri controlli
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365La procedura di collaborazione volontaria attualmente in fase di liquidazione rappresenterà un importante trampolino di lancio per la prossima attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria. Lo evidenzia la circolare n. 16 del 2016, che sottolinea la necessità, da parte dei funzionari incaricati, di effettuare un’attività di raccolta digitale dei principali dati e delle informazioni contenuti nelle istanze di voluntary disclosure, operazione strumentale a successive analisi ed elaborazioni per future attività mirate al contrasto all’evasione.
A tal fine è stato realizzato un apposito applicativo in cui devono essere inseriti i dati rilevati in base alla documentazione presentata e alle relative relazioni illustrative. Le informazioni così raccolte consentiranno non solo di monitorare le attività che hanno formato oggetto di emersione, ma soprattutto di procedere con le successive attività di analisi e rilevazione statistica delle condotte evasive più diffuse.
Diverse le ipotesi di lavorazione delle informazioni di cui si discute. Il primo ambito attiene alla corretta relazione tra le procedure di collaborazione internazionale e quelle “nazionali”. Il caso classico è rappresentato dalle istanze eventualmente prodotte dai soci e alle quali non corrisponde un’analoga istanza prodotta dalla società italiana. Il punto di domanda riguarda la modalità di accumulo delle risorse estere da parte dei soci, laddove la prima deduzione logica “esplorata” dall’Amministrazione finanziaria è che si tratti di accumuli in forza dell’evasione italiana. In sede di prime reazioni a caldo al numero di istanze ricevute, proprio i vertici dell’Agenzia delle Entrate segnalarono l’anomalia del basso numero di voluntary nazionali, sulla base proprio dell’assunto deduttivo appena descritto. È evidente che le risorse possono avere le origini più varie, ma è altrettanto evidente che in assenza di valide giustificazioni circa i flussi presenti negli anni oggetto di collaborazione volontaria, le due implicazioni immediate sono: il recupero reddituale in capo al contribuente che ha prodotto l’istanza (salvo il caso che già nell’istanza di collaborazione si sia deciso di gestire tale flusso come reddito da dichiarare); il riscontro, in ogni caso, se trattasi di importi in realtà evasi dalla società cui partecipa il contribuente.
Proprio detto riscontro sarà uno dei temi più esplorati post voluntary, a prescindere dalle scelte dei soci nell’ambito dell’istanza di collaborazione. In tale direzione sarà fondamentale il secondo modus operandi dell’Amministrazione finanziaria, che è in procinto di costruire una banca dati dei soggetti che hanno consentito l’evasione in Italia e l’accumulo delle risorse all’estero. Un esempio è di aiuto a comprendere gli eventi. La modalità frequente di accumulo all’estero che è stata riscontrata in sede di collaborazione volontaria (e che ovviamente è ormai conosciuta dall’Amministrazione finanziaria) è rappresentata dall’utilizzo della società di trading. In pratica, rivolgendosi a consulenti esteri, la società italiana ha creato oltre frontiera una società di trading del tutto fittizia. Detta società provvedeva ad effettuare gli acquisti all’estero (si pensi ad una fornitura di materia prima), pagando il relativo corrispettivo pattuito (ad esempio, 1 milione di euro). La società di trading poi “rifatturava” alla società italiana, fissando una sovrafatturazione di 1.200.000 euro. L’importo pagato dall’italiana e dedotto in Italia aveva ovviamente in sé un’evasione d’imposta di 200 mila euro, ossia la sovrafatturazione pattuita. I gestori esteri della finta società di trading, dopo aver trattenuto il loro compenso (ad esempio, 10 mila euro), stornavano la differenza sui conti personali dei soci collocati all’estero (nel nostro esempio, 190 mila euro).
Prescindendo da ogni valutazione in ordine ai reati configurabili, concentriamo l’attenzione sulle implicazioni in termini di controlli. Se ormai un certo numero di relazioni illustrative ha evidenziato questo meccanismo, è altrettanto chiaro che l’Amministrazione finanziaria ha anche i nominativi dei gestori esteri che hanno contribuito in tale pratica e soprattutto le denominazioni sociali delle società utilizzate allo scopo. I riscontri che saranno effettuati riguarderanno, pertanto, proprio le società italiane che si sono interfacciate con tali società trading fittizie estere e, all’emergere di documentazione contabile dalle stesse ricevuta, è evidente che il recupero fiscale sarà un gioco da ragazzi. Tornando alla circostanza della voluntary effettuata solo dai soci e non dalla società, lo scenario ipotizzabile è una verifica sulla società italiana per appurare la presenza di documentazione contabile sospetta: se nel corso della verifica dovesse emergere la fatturazione ricevuta da una società di trading ormai nota come fittizia, perché come tale classificata in banca dati, il recupero sarebbe semplicissimo.
L’ultimo riscontro che può emergere dalla raccolta di informazioni ritraibili dalla voluntary attiene all’individuazione delle operazioni di sospetto riciclaggio. Anche in tale direzione dalle procedure di collaborazione volontaria è emerso che il trasporto del contante non è avvenuto solo ed esclusivamente tramite i contribuenti o il classico “spallone”, ma anche per il tramite di società in ciò specializzate. In pratica, vi sono state diverse ipotesi di bonifici eseguiti per il tramite di dette società, in cambio di “pseudo” prestazioni. Era poi “compito” della società estera provvedere all’accredito all’estero oppure al “recapito” in Italia degli importi movimentati. L’eventuale controllo effettuabile riguarderà le informazioni bancarie del sistema finanziario italiano, nonché lo scambio di informazioni con l’estero, con richiesta di dare elencazione dei soggetti residenti in Italia che hanno avuto (o hanno ancora) movimentazioni finanziarie con dette società.